Uno dopo l’altro i paesi arabi stanno costruendo dei teatri d’opera, cosa inimmaginabile soltanto pochi anni fa. L’antesignana è stata nel 2011 la Royal Opera House Muscat, che è diventata il più importante teatro d’opera nell’immenso territorio che si stende tra Europa e Cina. Ne parliamo col suo direttore generale Umberto Fanni.
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Vista dall’Italia, l’opera appare in lento, inarrestabile declino ma, se si osserva la situazione con una prospettiva più ampia, ci s’accorge che la sua diffusione non è mai stata così ampia e che ormai non c’è quasi angolo del pianeta in cui non sorgano teatri d’opera. Gli ultimi (per ora) paesi in cui l’opera ha attecchito sono l’enorme Cina con il suo miliardo e mezzo di abitanti e il piccolo Oman, che di abitanti ne ha appena quattro milioni ma che è una dimostrazione ancor più sorprendente della vitalità dei semi gettati a Firenze nel lontano 1600. I paesi della penisola araba sembravano infatti preclusi all’opera per invalicabili motivi di ordine religioso, culturale e politico, per cui fino a poco tempo fa nessuno avrebbe potuto immaginare che nel 2011, grazie ad un sovrano illuminato, il sultano Qābūs, sarebbe nata la Royal Opera House Muscat (in italiano Mascate, capitale dell’Oman), che è stato il primo teatro d’opera in quella regione. Nel 2016 anche a Dubai veniva aperto un teatro d’opera, che - a dire il vero - si dedica quasi esclusivamente a generi musicali più commerciali e turistici. Ed è recentissima la notizia dell’intenzione dell’Arabia Saudita di costruire in breve tempo tre teatri d’opera nelle sue principali città.
La RHO Muscat non è soltanto il primo teatro d’opera aperto nella penisola arabica ma per numero e qualità dei suoi spettacoli è anche il più importante teatro d’opera nello sterminato territorio che si stende tra l’Europa e la Cina. Per dare un’idea della sua attività, ricordiamo che da gennaio ad aprile sono andate in scena Madama Butterfly, La Traviata, La scala di seta e Lakmé. Inoltre balletti, concerti - spaziando dalla Sinfonia n. 3 di Mahler a Zucchero Fornaciari - e un grande festival di musica popolare, con artisti che venivano da tutto il mondo, perché la ROH Muscat non vuole essere un’isola di musica occidentale e accoglie tutte le musiche, con un’attenzione speciale, come è giusto e doveroso, a quella araba. Anche l’architettura del teatro coniuga Europa e mondo arabo, sia nelle forme che nei materiali e il risultato è elegante ed allo stesso tempo funzionale, con un palcoscenico dotato delle tecnologie più moderne.
In tutto il mondo quando si dice opera si dice Italia e quindi non ci si deve sorprendere che a dirigere la ROH Muscat sia stato chiamato un italiano, Umberto Fanni, che dal 2014 ne è il direttore artistico e dal 2015 il direttore generale. Siamo andati a incontrarlo nel suo ufficio e gli abbiamo rivolto alcune domande per conoscere meglio un teatro che agisce in una realtà così diversa da quella europea.
Direi di iniziare dall’inizio. Come è nata la Royal Opera House Muscat e come è cambiata nel tempo?
Quando la ROH Muscat è stata inaugurata, ospitava spettacoli prodotti altrove. L’opera e la musica araba erano e restano tuttora le colonne della programmazione, che tuttavia si estende anche alla world music, al jazz, al musical, al balletto, ai concerti sinfonici, ai recital di grandi cantanti e strumentisti. Inoltre molti spettacoli sono rivolti specialmente alle famiglie e alla formazione dei giovani e giovanissimi, perché l’Oman è un paese di giovani, che costituiscono una percentuale altissima della popolazione. Questo settore “educational” è molto importante e lo sarà ancora di più in prospettiva, in seguito alla recente inaugurazione di una seconda sala, più piccola, particolarmente adatta a questo genere di spettacoli.
Dunque la ROH Muscat è nata per ospitare spettacoli che venivano da tutto il mondo, ma ora sta cominciando a coprodurre con altri teatri alcune delle opere che vengono rappresentate sul suo palcoscenico.
Quando sono arrivato qui nel 2014, uno degli obiettivi che mi sono posto è la trasformazione della ROH Muscat da teatro ospitante a teatro di produzione, perché non ha senso che in un teatro con un’attività così intensa manchi l’aspetto produttivo. Abbiamo perciò iniziato già da un paio di anni a mettere in piedi delle coproduzioni, che significa da parte nostra partecipare alla nascita di uno spettacolo con un contributo sia progettuale che economico, ma stiamo iniziando a contribuire anche con la realizzazione di parti dello spettacolo, come l’attrezzeria e i costumi. Il primo risultato è stata Norma rappresentata nel 2018 in coproduzione con l’Opéra di Rouen. È seguita Lakmé di Delibes, in assoluto la prima coproduzione operistica a coinvolgere teatri dei cinque continenti: Pechino, Los Angeles, Sidney, Verona, Genova, Roma, Cairo e Astana. Siamo stati noi a rappresentarla per primi alcune settimane fa, con l’orchestra e il coro del Teatro Carlo Felice di Genova.
Avete altri progetti di questo genere?
Sì, abbiamo già avviato altre coproduzioni. In particolare con il Rossini Opera Festival di Pesaro abbiamo un progetto di lunga durata per la rappresentazione delle cinque farse rossiniane, una all’anno. Le prime tre abbiamo iniziato a riproporle in allestimenti importati da Pesaro, con bellissime regie, come quella di Damiano Michieletto per La Scala di seta, che da noi è andata in scena lo scorso marzo. Le ultime due farse saranno invece una coproduzione tra noi e il Rof e verranno rappresentate qui e poi a Pesaro. La prossima stagione inoltre rappresenteremo La Bohème, che sarà una coproduzione con l’Opéra di Montecarlo, di cui realizzeremo parte dei costumi.
Quest’ultimo mi pare un punto molto importante: non portare “soltanto” idee e soldi ma contribuire fattivamente alla realizzazione di uno spettacolo. E per far questo bisogna formare le maestranze, dai laboratori di scenografia e sartoria ai reparti tecnici, che in Oman fino a ieri non esistevano.
Certamente, infatti stiamo sviluppando e abbiamo intenzione di sviluppare sempre di più tutte le attività di formazione del nostro personale ai mestieri dello spettacolo. A questo affiancheremo un lavoro molto approfondito rivolto alla scoperta e alla formazione di giovani talenti musicali omaniti. È un impegno molto importante per noi, anche perché formare i giovani non serve solo al teatro ma incide nel tessuto della società omanita. Questo è proprio è uno dei focus della visione progettuale del Sultano, che alla ROH Muscat chiede di essere un ponte culturale che permetta al popolo omanita di scoprire e far proprio quello che accade al di fuori dei confini del proprio paese. E per far questo è importante non limitarsi soltanto a vedere spettacoli che arrivano da fuori ma anche partecipare attivamente alla loro realizzazione.
Immagino che non sia facile per le maestranze locali capire come inserirsi con il loro lavoro in una forma di spettacolo così lontana dalla loro tradizioni, poiché fino a pochi anni fa in Oman non c’era nulla di nemmeno lontanamente simile. Similmente non deve essere facile per il pubblico omanita avvicinarsi all’opera. Che pubblico avete? Come reagisce a uno spettacolo che sicuramente non è nel suo DNA culturale? Incontra delle difficoltà a comprendere l’opera? Cosa cerca ed apprezza di più nell’opera?
Il discorso è molto ampio. Partiamo dalla concezione dello spettacolo che si ha nel mondo arabo. La cosa fondamentale per loro è l’aspetto visivo dell’opera. L’aspetto musicale non dico che passi in secondo ordine, però è meno importante, o almeno lo era nei primi tempi. Inizialmente erano molto colpiti soprattutto dallo sfarzo e dalla grandiosità degli allestimenti: un esempio è stato allestimento incredibile di Zeffirelli per Turandot, che ha inaugurato il teatro nel 2011. Ma le cose stanno cambiando: cinque anni dopo, quando abbiamo ripresentato lo stesso allestimento, alcuni giovani omaniti, che non avevano mai visto un’opera, sono venuti a ringraziarmi e mi hanno detto che avevano capito la storia e che li aveva molto colpiti, che la musica era molto bella e solo per terza cosa che l’allestimento gli era piaciuto molto. Quindi per loro l’ordine dell’importanza dei vari aspetti di una rappresentazione operistica era cambiato. Il pubblico stesso è cambiato, vuole conoscere in modo più approfondito questa forma di linguaggio musicale che viene dall’occidente. Ho notato che gli arabi e gli orientali in genere hanno maggiore attitudine a capire la musica occidentale che non gli occidentali a capire la musica – o le musiche – dell’oriente. Non mi aspettavo di trovare questa predisposizione e questa attenzione all’opera. Ne sono entusiasti. E non risparmiano gli applausi. Qui la standing ovation non è un fatto eccezionale.
Questo pubblico accoglie tutto con lo stesso entusiasmo oppure ha delle preferenze per alcuni generi o per alcuni autori?
Rossini ha un incredibile successo, in particolare le opere comiche. Le opere drammatiche sono più problematiche per loro, però - ironia della sorte - hanno una passione per Wagner. Sono rimasto a bocca aperta quando abbiamo fatto Lohengrin e Der fliegende Holländer e sono stati apprezzatissimi. Amano molto non soltanto Turandot, che è diventata un must in Oman, ma Puccini in generale: recentemente abbiamo fatto Madama Butterfly e tutti avevano le lacrime agli occhi. Invece Verdi piace un po’ meno. Per quello che riguarda gli allestimenti i nostri spettatori sono piuttosto tradizionalisti. Li disorienterebbe, com’è comprensibile, vedere ambientata in epoca contemporanea una vicenda che si dovrebbe invece svolgere nell’antichità.
Rappresentare certe opere - penso a La Traviata, in cui si tratta di amanti e di prostituzione - non crea problemi con le regole dell’Islam?
Qui, come in tutto il mondo arabo, si ha una sensibilità particolare su certi temi, come l’alcol, il sesso e i simboli religiosi. Ma per non urtare questa sensibilità basta, per esempio, sostituire nella scena del brindisi della Traviata il vino nei bicchieri con un liquido di colore verde, che può sembrare un succo di frutta. Questo non cambia nulla della sostanza dell’opera. Quanto ad aspetti più sostanziali, che riguardano proprio la natura dell’opera stessa, molto dipende dall’impostazione della regia, che può porre l’accento più sul fatto che Violetta sia una donna sofferente e malata che non sul fatto che sia stata una prostituta.
Quanti sono gli spettatori arabi e quanti quelli che vengono da altri paesi? Potrebbero sembrare aridi dati statistici, ma credo che invece possano essere utili a capire il ruolo che svolge la ROH Muscat e come l’opera viene accolta dagli omaniti.
Dall’Oman e dagli altri paesi della penisola araba viene circa il 23 % degli spettatori, un dato che è in costante aumento. Un’altra parte del pubblico è formato da residenti a Muscat non omaniti, perché bisogna considerare che il 60% dei circa 1.200.000 abitanti della città non è omanita ma viene da tutto il mondo: sono soprattutto asiatici, che forniscono la forza lavoro, ma anche occidentali, che sono prevalentemente professionisti. E poi tra il nostro pubblico è alta la percentuale di turisti, perché l’Oman sta diventando una meta molto apprezzata da un tipo di turismo medio-alto. Studi del ministero del turismo omanita prevedono che in un futuro non troppo lontano il turismo possa raggiungere il 25% delle entrate dell’Oman, perché non bisogna dimenticare che tra quaranta o cinquanta anni il petrolio finirà. Quindi la ricerca di sorgenti finanziarie alternative è pressante e in questo senso il turismo può avere un ruolo molto importante. Il Times di Londra ha pubblicato un articolo in cui le principali cose da visitare a Muscat sono la moschea e la ROH, poi viene e il resto.
Dunque alla ROH è demandata, oltre che una funzione culturale, anche quella di rimpiazzare in un certo senso il petrolio nel futuro?
In un certo senso sì.
Quante aperture di sipario fa la ROH in un anno. E con l’apertura del nuovo palcoscenico sono destinate ad aumentare?
Il periodo di attività è piuttosto limitato, poiché il teatro chiude in estate, quando la temperatura arriva a 50 gradi, sono pesanti, e durante il ramadan, quando non si possono fare spettacoli. Quindi la stagione parte a settembre e chiude a fine aprile. Nella stagione appena conclusa abbiamo avuto quarantotto spettacoli per un totale di circa centodieci repliche. Quanto al nuovo teatro, lì abbiamo intenzione di lavorare sull’opera barocca e sull’opera del Settecento, fino al primo Mozart, ma soprattutto sulla musica araba e sugli spettacoli per le famiglie: vogliamo che diventi un luogo aperto alla città e ai suoi abitanti.