La situazione all'Opera di Parigi è stata difficile dall' autunno 2018 e dalla crisi dei "Giubbotti Gialli", poi dal novembre 2019, a causa dei durissimi scioperi che hanno scosso la Francia contro la riforma delle pensioni prevista dal governo. L'Opera di Parigi è stata chiusa dal novembre 2019 al gennaio 2020 e appena riaperta, ha dovuto chiudere di nuovo a causa della pandemia. Il risultato è stato un deficit abissale di 45 milioni di euro, e una crisi di direzione, poiché il successore di Stéphane Lissner, il cui mandato correva fino a Luglio 2021, non era ancora arrivato e che, per ricoprire la sua posizione al San Carlo di Napoli, aveva annunciato la sua partenza anticipata alla fine di dicembre 2020, in mezzo alle polemiche e le accuse di “abbandonare la nave che affondava”. Il nuovo ministro della Cultura, Roselyne Bachelot, è riuscita a far arrivare in anticipo Alexander Neef 1, il successore di Lissner, che è entrato in carica il 1° settembre scorso.
Le cose sono tornate alla normalità a Parigi, e il Ministero della Cultura ha segnato con una cerimonia il passaggio di consegne tra Stéphane Lissner e Alexander Neef, una procedura insolita ma che è stata messa in atto per curare la comunicazione ministeriale, suggellando così il ruolo attivo (e rapido) dello Stato nella risoluzione di una situazione che stava diventando difficile da capire e che il nuovo ministro della Cultura Roselyne Bachelot, famosa appassionata di opera lirica, si è giustamente prefissa di risolvere nel mese di luglio.
Abbiamo discusso con Stéphane Lissner al termine dei 10 giorni del Festival "Regione Lirica 2020", Piazza del Plebiscito, a Napoli, a due passi dal San Carlo, dove si sono succeduti Tosca (con Netrebko, Eyvazov e Tézier) Aida (Kaufmann, Pirozzi, Rashvelishvili) e una bellissima e simbolica Nona di Beethoven affidata a Juraj Valčuha, direttore musicale del San Carlo. Il trionfale successo dell'operazione ha costituito la rottura del digiuno musicale post-covid e al tempo stesso ha segnato il prologo alla grande del periodo Lissner con il sostegno e il finanziamento della Regione Campania.
Stéphane Lissner, molto soddisfatto di questo successo e ovviamente già ben saldamente istallato a Napoli, ci ha accolto nel suo ufficio del San Carlo, uno dei più antichi teatri lirici italiani, un teatro tra i più belli del mondo nel cuore di una Napoli dal carattere vitale e dalla storia potente che lo ha sedotto.
Ci ha presentato i suoi progetti, le sue idee, le sue intenzioni, e naturalmente abbiamo anche colto l'occasione per guardare al recente passato e discutere la questione parigina. La sua analisi della situazione attuale del teatro, soprattutto quella economica, ci dà un'idea chiara, e il suo destino è ora nelle mani di Alexander Neef.
Ha anche condiviso con noi la sua visione di ciò che è possibile per l'Opéra di Parigi, e ciò che è impossibile da prevedere. Un incontro lungo e dettagliato, che ci permette di comprendere meglio le complessità e le difficoltà del luogo di cui avevamo già parlato altrove (si veda a questo proposito il nostro articolo (in francese) sul Blog du Wanderer ).
(Alcune note spiegano al lettore italiano le cose per capire meglio)
Una pagina viene voltata e si aprono due nuove pagine a Parigi e Napoli.
“In bocca al lupo” ad Alexander Neef e Stéphane Lissner.
La Sua nomina a Napoli è stata una sorpresa…
Beh, non sono così sorpreso di aver deciso di andare a Napoli. La sorpresa è semplicemente che avevo deciso di smettere. Dopo Madrid, Aix, Milano, Parigi, avevo viaggiato parecchio e volevo fermarmi... e soprattutto non volevo più lasciare Parigi. E poi ho accettato.
Ho accettato di andare a Napoli per un motivo molto semplice: la storia di questo teatro.
Quando si dirige il Teatro alla Scala si vede che il pubblico, la stampa, il personale, tutti sono convinti che il Teatro alla Scala sia praticamente l'unico teatro di riferimento in Italia e anche in Europa. E se si guarda alla storia, si vede che nel Settecento il teatro era Napoli prima di tutto. E quando si va alla storia più recente degli interpreti, almeno fino agli anni Cinquanta, si vede che ci sono due grandi teatri in Italia, il San Carlo e la Scala
E poi sono molto sensibile ai luoghi, ho diretto le Bouffes du Nord, un teatro molto speciale, poi lo Châtelet, ho avuto la possibilità di andare alla Scala, poi a Garnier, e ora mi ritrovo al San Carlo: sono tutti luoghi straordinari!
Ormai capisco quanto sia stato difficile per me programmare all’Opera-Bastille, ho avuto difficoltà a trovare il rapporto tra Bastille e l'emozione che Garnier o la Scala mi davano. Poi mi sono reso conto di quanto un luogo abbia un'influenza su di me per darmi il desiderio e la voglia di fare qualcosa: è una cosa davvero molto personale.
Certo, non sto dicendo che ho avuto un blocco a Bastille, ma mi sono sentito fermato nella mia volontà perché vedevo quanto fossero difficili i progetti. È molto complicato, ad esempio, prevedere delle scene. Era necessario lottare contro questo spazio, sentivo quanto fosse difficile trovare una risposta adeguata rispetto a una sala moderna di 2700 posti a sedere con, in più, una sensazione di lontananza. A Bastille, lo spettatore è molto rapidamente abbastanza lontano dal palcoscenico...
Mentre per averci visto diversi spettacoli, ho visto quant’era meravigliosa la sala del San Carlo.
Ma c'è di più: come mi piace il mondo, come mi piace la gente, come mi piace la bellezza di una città in relazione alla sua architettura, come mi piace la sua organizzazione, insomma i miei sentimenti e le mie idee di città sono in perfetta sintonia con Napoli.
Mi sento molto bene qui. Gli aspetti positivi e negativi di questa città mi vanno benissimo, mi va bene anche la diversità sociale: mi va bene il fatto che in via Toledo ci siano sia gli antichi palazzi occupati da aristocratici che il popolo dall'altra parte della strada. Ed è una delle poche città in Europa che ha mantenuto questo mix e mi tocca profondamente. E penso che sia molto triste che Parigi abbia completamente perso questa diversità, che i prezzi siano così alti che è ormai impossibile per i parigini comprare appartamenti: c'è qualcosa di sbagliato in questo, e non si sente affatto a Napoli. Inoltre, questa città emana un'incredibile, fondamentale creatività che nasce dalla sensazione che abbia una vera cultura, una forte identità culturale: a Milano non ci sono più milanesi, a Napoli ci sono i napoletani. E per di più, è una città con una storia del teatro fuori dal comune.
Infine, sono sempre stato sensibile agli aspetti sociali tra Nord e Sud Italia, in primo luogo perché ho lavorato per 10 anni al Nord e ho sentito da alcuni politici opinioni a volte scioccanti nei confronti del Sud, che mi hanno sempre disturbato. È vero che questo paese è ancora giovane nella sua costituzione, ha poco più di 150 anni, ma non sopporto questa arroganza che si mostra ancora verso il Sud.
Quindi per me, venire qui è anche una risposta concreta a ciò che mi era dispiaciuto e ho cercato di raccogliere la sfida di fare in modo che Napoli diventi il miglior teatro d'Italia; è il mio modo di rispondere ad atteggiamenti che mi dispiacciono profondamente.
Pertanto ci sono molte ragioni per cui ho accettato Napoli quando pensavo di porre fine alla mia carriera nella lirica, di smettere con l’opera. In realtà, stavo giocando con l'idea di riprendere un teatro di prosa e di tornare finalmente al punto di partenza della mia vita
Infatti, Lei ha sempre detto di non essere uno specialista dell'opera...
All'inizio, amo profondamente il teatro di prosa e amo profondamente la musica (e anche la pittura moderna). Ho scoperto prima la prosa, poi la musica, e da queste due forme è arrivata nella mia vita l'opera lirica.
Mi spiego meglio: spesso chi fa l'opera lirica è uno specialista. Questo non è il mio caso. Ho scoperto prima il teatro, poi la musica sinfonica, il pianoforte e infine la musica da camera, i quartetti di Beethoven e soprattutto l'ultimo periodo che mi ha fatto capire quanto fosse creativa e moderna questa musica. Mi sono così liberato di un'idea preconcetta notando che c'era un'enorme modernità nella musica classica.
Ma a vent'anni avevo già letto tutti i grandi autori di teatro, e andavo a teatro tutte le sere, non all'opera. Questa è la mia cultura di base 2. E questo misto di musica e teatro ha fatto sì che un giorno mi sia stato offerto un lavoro nell’opera lirica 3. Ma ripeto, non ho mai preteso di essere uno specialista.
Lei "non specialista" arriva in un teatro di grande tradizione, che condivide con Venezia e Milano la storia della lirica in Italia. Come intende concepirne la programmazione?
Ciò che mi affascina nel progetto San Carlo è innanzitutto partire da ciò che conosco, cioè l'opera italiana dell’Ottocento. Ma il lavoro che sto facendo dallo scorso ottobre (è già passato quasi un anno) è ovviamente quello di rimettere al centro la storia di questo teatro. Per questo ho deciso di aprire un'Accademia sul Settecento napoletano, c'è un vero tesoro di programmazione. Inoltre, ho appena avuto l'accordo del sovrintendente di Palazzo Reale che mi autorizza a fare spettacoli nel “teatrino di Corte” da 400 posti che è una meraviglia.
Quindi svilupperò con l'Accademia un progetto con due linee principali, da un lato, il Belcanto con Mariella Devia, e dall'altro, ho pianificato due produzioni di opera napoletana ogni anno in questo teatrino di corte. Voglio lasciarmi volontariamente influenzare dalla storia di questo teatro: è questo che mi interessa.
Si dà il caso che Rossini e Donizetti fossero qui direttori musicali, sono passati da questo teatro e io voglio immergermi in esso, e lavorerò con le persone intorno a me e penseremo a un progetto decisamente basato su due cose: il grande repertorio e le voci. Poi un po’ più tardi, porterò anche la teatralità e la drammaturgia, penso che sarebbe un errore cominciare dalla drammaturgia per andare incontro al pubblico napoletano. Penso che si debba partire dalle voci, questo è stato anche un po' il messaggio che ho voluto trasmettere in questi dieci giorni di luglio con questi grandi cantanti che sono venuti subito 4.
Voglio cambiare il mio modo di pensare e di lavorare: ho lasciato Parigi, con la modernità del teatro, il rapporto con il pubblico e quello che io chiamo il business; lasceremo questo lato businesse torneremo all'artigianato teatrale basato sulla storia e l’identità del teatro, faremo le “Tre Regine” di Donizetti, faremo il Maometto IIdi Rossini (NdR: creato a Napoli nel 1820) ovviamente una delle prime opere che ho programmato. Dapprima daremo la priorità alle voci, poi, a partire dal 2022, 23 o 24, inizieremo a coinvolgere alcuni registi con i quali voglio lavorare, su alcune opere e non su tutto, per ridefinire ciò che è l'opera lirica nel nostro mondo contemporaneo. Tutto questo si basa sulla storia del teatro, ricca anche delle scosse che alcune opere hanno provocato, e ce ne sono stati alcuni nel corso della sua storia dal Settecento fino a Karl Böhm, che presenta ai napoletani il Wozzeck di Berg in italiano; ecco la mia linea.
Inoltre, grazie alla Regione Campania, abbiamo già modestamente iniziato ad andare in altri luoghi 5, e continueremo, soprattutto verso le università e grazie al suo sostegno organizzerò una stagione ogni estate. Quello che abbiamo fatto con la Piazza del Plebiscito è stato un po' straordinario per via del Covid, - e molti mi chiedono addirittura di continuare e di organizzare un festival di Piazza del Plebiscito - ma voglio assolutamente che organizziamo programmi ad hoc per l'estate, prima nel Teatro di San Carlo, due produzioni estive come oggi, ma con altre attività intorno, in almeno cinque luoghi come Caserta per esempio. Daniel Barenboim verrà per dieci giorni con la sua West Eastern Divan Orchestra, ci sarà anche Martha Argerich e vedrò le condizioni di programmazione di questi luoghi, con quali opere, e con quale organico perché non possiamo avere 80 musicisti ovunque, e osserverò i luoghi per vedere quali opere saranno suonate lì.
Lei parla di introdurre la "teatralità" e la drammaturgia nelle stagioni, ma Napoli è una città di teatro...
Certo, è una grande città per il teatro e qui il teatro sta andando molto bene, così come il Festival del Teatro (NdR: Napoli Teatro Festival Italia, https://napoliteatrofestival.it) che riscuote un grande successo, ma nell'opera i concetti di regia sono nel complesso abbastanza tradizionali, tra l’altro come in tutta Italia infatti.
Cosa sarà la stagione 2020-2021 che a quanto sappia non ha preparato?
Non l'ho preparata infatti, ma ho cambiato alcune cose qua e là. Ho cambiato l'inaugurazione della stagione per esempio perché ho considerato che non avevamo il cast idoneo per fare Don Carlo e così ho proposto La Bohème, con regia di Emma Dante, perché Selene Zanetti era libera ed è una cantante molto interessante (NdR: era una bella sacerdotessa nell'Aida in Piazza del Plebiscito, vedi la nostra recensione qui sotto) e abbiamo un bel cast di cantanti che debuttano quasi tutti al San Carlo. Ho cambiato alcune cose ai margini della stagione, ma ho mantenuto l'essenziale, La mia vera prima stagione è il 2021-2022, che ho completamente elaborata.
Quale sarà l'organizzazione prevista, ad esempio il numero di produzioni?
Rimarrà tra i 12 e i 14 all’anno, probabilmente sarà un po' più complicato perché non ci saranno due cast. Preferisco una sola compagnia di canto: come avremo Kaufmann/Agresta per Otello, Anna Netrebko per Aida, e avremo anche Lisette Oropesa, Nadine Sierra, Ildar Abdrazakov, cioè i più grandi, e molti italiani anche perché c'è una bella generazione di cantanti in Italia (per esempio ho chiesto a Roberto Tagliavini di fare Maometto II, e Anna Pirozzi farà qui la sua prima Butterfly nel 2020/2021), sarebbe difficile avere due cast. Inoltre, ci saranno da cinque a otto spettacoli per produzione, a seconda dei titoli. Quando faremo La fiaba dello Zar Saltan di Rimskij-Korsakov con regia di Dmitry Tchernakov (Produzione della Monnaie de Bruxelles), per esempio, ci saranno cinque rappresentazioni. Devo anche rendermi conto delle possibilità dell’apparato tecnico prima di lanciarmi in nuove produzioni; all'inizio ne faremo tre, forse quattro, e quindi preferisco prima portare produzioni da altre parti che sono altrettanto difficili da mettere su. Parlavo dello Zar Saltan, ma potrei anche dire che nel 2024 ci sarà il Requiem di Mozart, regia di Romeo Castellucci 6. Ho già pianificato come invitare gradualmente altri registi, come Calixto Bieito ad esempio ma attingerò anche al repertorio attuale del teatro, che ha produzioni di qualità, e voglio coprodurre con altri teatri lirici italiani, per esempio, abbiamo due progetti con Palermo.
Quale situazione tecnica e strutturale ha trovato quando è arrivato in questo teatro?
Ho lavorato allo Châtelet, ad Aix, alla Scala e a Parigi. A Parigi stiamo arrivando alla fine del sistema produttivo, 500 spettacoli, due teatri: il modello economico è superato e a mio avviso comincia a minacciare l'artistico. Qui abbiamo circa 300 persone, un'orchestra di circa 90 musicisti, 80 coristi e una trentina di ballerini a tempo indeterminato.
C'è una vera e propria tradizione di balletto a Napoli, e credo sia la città con il maggior numero di scuole di danza in Italia. Ci sono genitori che fanno sacrifici per far entrare i loro figli nella scuola di ballo del San Carlo, che accoglie circa 200 giovani all'anno. La scuola di ballo è molto importante qui.
Poi abbiamo i tecnici, ovviamente, e l'amministrazione.
Oggi il rapporto tra costi fissi e costi artistici è ragionevole, intorno al 45-50%, che si colloca nella giusta fascia. Abbiamo circa il 70-75% di sovvenzioni pubbliche e il 25% di reddito proprio, il che è un grande vantaggio per il settore artistico, e quindi non dipendiamo tanto quanto Parigi, Milano o Londra da un reddito che fa l’equilibrio del bilancio dell'azienda, o che lo rompe. È un’impresa a misura d'uomo.
Il palcoscenico del teatro è un bel palcoscenico, ma che non ha spazi laterali, e difficilmente si può scavare in profondità perché sotto c'è il mare e da questo punto di vista siamo un po' bloccati, ma il teatro è stato restaurato circa dieci anni fa da Salvatore Nastasi 7 con mezzi notevoli (diverse decine di milioni di euro) e il palcoscenico è moderno, senza problemi tecnici, la sala è stata anche molto ben restaurata e l'acustica è stata conservata. Per me è una delle migliori acustiche d'Italia.
Più concretamente, perché c'era purtroppo il Covid e perché abbiamo dovuto lanciare questo "festival" a partire dal 15 giugno, un po' folle con tre spettacoli di Tosca, tre di Aida e poi la Nona di Beethoven.
Abbiamo potuto farlo perché le 300 persone del teatro erano pronte a farlo, il coro, l'orchestra e anche il balletto che ha ballato altrove e che tornerà a settembre. Tutti hanno dato molto. Il montaggio, anche dal punto di vista amministrativo, è stato complesso per le scadenze ravvicinate e perché il territorio è complesso con, ad esempio, le varie autorizzazioni necessarie per stare in piazza... In totale ci siamo riusciti, ho anche riunito il personale, i capi reparto che ho ringraziato perché tutti hanno dato il massimo.
Quando questo Paese, quando i nostri amici italiani vogliono qualcosa, lo fanno, e meglio degli altri. Devo dire che sono stato molto ben accolto e che l'impegno sul palcoscenico è stato visibile, sia nell'orchestra che nel coro. Ovviamente quando hai davanti a te Tézier, Netrebko, Anita (NdR: Anita Rashvelishvili) o Jonas Kaufmann, è stimolante!
E questo è abbastanza confortante per il futuro, c'è un potenziale artistico naturalmente, ma un grande potenziale in generale. Questa è la mia impressione da quando sono arrivato.
Quando mi è venuta l'idea di Piazza del Plebiscito, tutti mi hanno detto che era una follia, ma io ho detto loro: "Sì, è una pazzia, ma dobbiamo lottare oppure resteremo a casa".
E poi vedere tutta questa gente, il pubblico e quelli intorno ai cancelli ad ascoltare, è stato confortante per il ritorno allo spettacolo, anche se i rumori della città potevano disturbare. Gli artisti non erano veramente imbarazzati e se ad Aix, non lo vivevo proprio bene, qui, è andato tutto bene, benché abbiamo subito tutto, anche i fuochi d'artificio alla prima di Tosca!
Tutto bene allora !?
Sì, ma non sono ingenuo, so che ci saranno difficoltà, ma le prime impressioni sono state di desiderio, di impegno, di disponibilità e anche di responsabilità con i sindacati. Quando sono arrivato il 1° aprile, non ho pagato gli stipendi, per la prima volta in 40 anni di attività che non mi era mai successo. Non c'è niente di peggio di un teatro che non paga gli stipendi. Hanno ricevuto dal 75 all'80% in cassa integrazione e cercheremo di trovare soluzioni, poi ho avuto davanti a me sindacati che hanno svolto il loro ruolo nella difesa dei lavoratori, ma ho trovato in loro persone che erano anche responsabili.
Per concludere su Napoli, tra tutti i progetti che ha brevemente citato, ce n'è uno che Le sta particolarmente a cuore?
Ce ne sono parecchi perché ci vorranno diversi anni. C'è prima questo progetto sull'opera napoletana e il Settecento. Mi sta a cuore da quando sono arrivato qui. Già alla Scala, avevo già pensato a un simile progetto e ci avevo lavorato, ma temevamo problemi con il pubblico che non era abituato a questo repertorio e soprattutto il Teatro alla Scala non aveva la sala idonea. Qui invece ho la sala ed è per questo che ho creato l'Accademia che inizia nel gennaio 2021.
L'altro punto è un progetto più globale: prima di tutto si trattava di vedere se il San Carlo poteva attrarre gli artisti, i direttori e i registi con cui ho lavorato a lungo prima, alla Scala e poi a Parigi. E con grande e piacevole sorpresa, cantanti, registi e anche alcuni direttori d'orchestra hanno già dato il loro accordo. Penso a Valery Gergiev, Fabio Luisi, Michele Mariotti naturalmente o altri, come Daniele Barenboim. E poi il successo che abbiamo appena avuto in Piazza del Plebiscito ci aiuterà ovviamente: l'artista ha fiducia, gli piace il posto, è ben accolto, sente che tutto è molto professionale. Tutti gli artisti invitati hanno visitato il Teatro San Carlo, che la maggior parte di loro non aveva mai visto prima, alcuni di loro non conoscevano nemmeno Napoli. Questo è un punto importante perché verranno tutti per i prossimi cinque anni. Abbiamo già alcuni titoli, e posso dire che Ludovic Tézier farà qui Simon Boccanegra. L'ha fatto a Parigi, ma io volevo che lo facesse qui. Anche il progetto delle “Tre Regine” di Donizetti mi sta molto a cuore, stiamo lavorando a un progetto di coproduzione con un altro teatro, e programmeremo un'opera all'anno, con lo stesso regista per tutti e tre.
In realtà ci sono parti del repertorio che conosco meno. Ho iniziato la mia carriera con Schönberg, Ligeti, Boulez, e fin dall'inizio ho conosciuto molto presto Peter Brook e Pierre Boulez; ho lavorato con Brook per dieci anni, e nel 1983 ho iniziato a lavorare con Pierre Boulez, ancora prima di dirigere lo Châtelet. Quando si ha la fortuna di lavorare con maestri di questo calibro, questo determina una carriera. Mi hanno molto influenzato e sono partito da lì, ma a poco a poco si scoprono altre parti del repertorio.
Ci sono alcune opere all’inizio che mi lasciavano indifferente, come Puccini per esempio, che invece oggi mi piacciono molto. Amo Manon Lescaut, , che è la partitura che mi commuove di più. Vale anche per alcuni compositori tedeschi e naturalmente per l'opera francese. Non mi piace tutto nell'opera lirica, ma nella mia carriera ho avuto la possibilità di avvicinarmi alle opere che mi sono piaciute di più e di programmarle per esempio alla Scala.
Ma quando sono arrivato a Parigi, di fronte alla massa di produzioni da proporre, ho dovuto aprire il repertorio con opere che mi piacevano meno o che mi davano meno emozione musicale... allora ho cercato di convincermi che magari il libretto mi avrebbe permesso di fare teatro con un buon regista, ma non è sempre così...
Visto che si parla di Parigi, affrontiamo questa questione che ha suscitato tante polemiche: non c'è una schizofrenia nel rimanere qualche mese in due teatri così radicalmente diversi?
Partirò il 31 agosto. 8
Abbiamo concordato con il ministro. Ma poiché da un lato è necessario un decreto del Presidente della Repubblica e dall'altro il ministro dovrebbe tenere una conferenza stampa, la notizia rimane per ora segreta.
Per vari motivi, sia privati e materiali che professionali, era preferibile che non arrivasse il nuovo direttore generale a dicembre 9 e Roselyne Bachelot 10 si è accordata con Alexander Neef affinché potesse venire a settembre. Tutti sono d'accordo che è meglio per me partire subito nella situazione catastrofica dell'Opera. Non piace sentirlo dire, ma quando diciamo che l'economia francese è in ginocchio, tutti lo ammettono, ma l'Opera di Parigi con questo deficit di 45 milioni di euro è in ginocchio - e parlo solo di economia, ci occuperemo dopo dell'aspetto sociale - e ci sono decisioni da prendere. Con differenza di fuso orario tra Francia e Canada, con la questione del Covid, i viaggi aerei difficili, gli incontri necessari, sarebbe stato molto delicato per Alexander Neef gestire l’Opera di Parigi da Toronto. Prima arriva, meglio è, perché stare a cavallo su due teatri e nelle condizioni attuali a causa del Covid è una follia.
Le cose sarebbero state possibili se la programmazione fosse andata come al solito. È una prassi normale nella professione, quello che Serge Dorny 11 ha fatto tra Lione e Monaco, Dominique Meyer tra Vienna e La Scala, e quello che io ho fatto tra Parigi e Napoli 12. Con la situazione sanitaria, bisogna prendere decisioni, bisogna essere presenti ogni giorno perché la situazione cambia continuamente, quindi bisogna preparare scenari diversi, essere pronti in caso mai: è quello che ho fatto qui a Napoli.
Sono stato accusato di voler lasciare la nave che affondava, cosa che non era mia intenzione, ma nelle attuali circostanze è meglio che Alexander Neef sia sul posto il prima possibile.
Comunque quello di direttore dell’Opera di Parigi è un lavoro che attira le polemiche: stavo guardando la fine di Rolf Liebermann 13 , la fine di Hugues Gall, la fine di Gérard Mortier e ho letto molti articoli negativi su questi tre manager alla fine del loro mandato: non credo fossero tutti cattivi. Ma è strano che finisca sempre cosi a Parigi.
Qual'è esattamente l'attuale situazione sociale ed economica dell’Opera di Parigi?
Dal punto di vista sociale, nel novembre 2019 si sono svolte le elezioni professionali che hanno visto il sindacato SUD 14 emergere con circa il 40% dei voti e prendere il posto della CGT 15 che storicamente era il sindacato di maggioranza all'Opera di Parigi. Con la CGT ci sono stati vari conflitti, ma siamo riusciti a firmare degli accordi. SUD non ha mai firmato accordi con la direzione. Questo sindacato è diventato quello di maggioranza all'Opera di Parigi e questa è una situazione molto preoccupante dal mio punto di vista: gli ultimi mesi dallo scorso novembre dimostrano che sarà complicato costruire un post-Covid con loro e anche costruire qualsiasi cosa. Questo posso dirlo chiaramente.
Dal punto di vista economico, vi darò due cifre che vi aiuteranno a capire la situazione: avevamo 40 milioni di Euro di attivo circolante netto e non ne è rimasto niente, e avevamo 100 milioni di Euro in contanti e non ne abbiamo nemmeno 50 milioni. L'impresa non può continuare così se non riprendiamo l'attività a novembre-dicembre e se continuiamo con quarti o mezze sale, la situazione diventerà molto complicata e la nuova direzione sarà costretta a fare scelte artistiche e sociali. Avevo fatto alcune proposte che non spetta a me sviluppare qui, perché lo Stato ha deciso di andare in un'altra direzione e poi il Covid è arrivato, cioè una delle crisi più importanti per l'Opera di Parigi dall'ultima guerra.
Dal punto di vista artistico, quali sono le conseguenze?
Non posso parlarne perché le conseguenze spettano al nuovo direttore che deve decidere: decidere un ripiego? Fare meno produzioni nuove? Spendere meno soldi, a quanto ho sentito dire qua e là? Non credo sia questo il punto.
Le darò una cifra perché sentiamo tutto e il contrario di tutto a proposito: Gérard Mortier, prima di Nicolas Joel, già 12-16 anni fa spendeva tra i 35 e i 40 milioni di euro in produzioni di balletto e opera. Ho speso mediamente tra i 40 e i 41 milioni di euro all'anno per la produzione, ma ho raddoppiato i profitti, passando da 16-17 milioni a 36 milioni di biglietti venduti. Per 40 milioni di spese di produzione abbiamo 76 milioni di biglietti venduti, ovvero 36 milioni in positivo. Pur non avendo aumentato i costi di produzione, ho aumentato i ricavi. Sono aumentati perché la sponsorizzazione è passata da 9 a 19 milioni, perché ci sono stati progetti di successo, che hanno attirato sponsor come il Così fan tutte di Anne-Teresa de Keersmaeker o Schiaccianoci-Iolanta di Dmitry Tcherniakov
A poco a poco le aziende, gli sponsor sono venuti all'Opera di Parigi perché dovevano esserci e dovevano sostenerlo a causa del progetto artistico. Più sei ambizioso per il teatro, più convinci un mecenate: non lo convinci dicendogli che farai risparmi e meno produzioni. La gestione è una cosa, l'artistico un'altra, e se si parte dall'economia per fare arte, si sbaglia di grosso. Dobbiamo partire dal progetto artistico che genererà risorse. È come se un'azienda si rifiutasse di investire: non potrebbe creare crescita. Investire è creare crescita: nell'opera lirica è lo stesso.
Quando sono arrivato, ho difeso davanti al Consiglio di Amministrazione che avrei fatto più nuove produzioni e che avrei avuto più entrate, e non ho mentito, che avrei avuto più mecenatismo, e non ho mentito nemmeno: ho raddoppiato il mecenatismo; infine, ho aumentato le vendite dei biglietti. Così ho fatto quello che ho detto e ho ottenuto i risultati che mi aspettavo.
Questo progetto per me è l'unico possibile per l'Opera di Parigi. Non è certo avere il progetto di risparmiare sui costi!
Si dice sempre che l'Opera di Parigi è costosa... già ai tempi di Liebermann.
Diamo un'occhiata ai numeri. Quanti dipendenti? 1600, per due teatri, cioè 800 in media per teatro: né Vienna, né Londra, né la Scala hanno 800 dipendenti: ne hanno molti di più. Tra due teatri, ci sono pochissimi servizi che possono essere condivisi, soprattutto tra due teatri così diversi come Garnier e Bastille. Tutti i tecnici di scena (elettricisti etc…) non possono lavorare contemporaneamente in due teatri. In realtà, all'Opéra di Parigi non c'è troppo personale. E' una bugia.
Già ai tempi di Liebermann (dal 1973 al 1980) infatti si diceva che costava troppo l’Opéra e hanno anche attaccato il suo stipendio, ci siamo dimenticati delle campagne contro il Liebermann straniero che costava troppo16...
La verità è che c'è un rapporto molto isterico tra il "mondo" e il "mondo dell'opera" in cui lo Stato gioca cattivo gioco, il che crea false informazioni, a volte polemiche inutili che indeboliscono l'istituzione e sono controproducenti per questo teatro che ha bisogno di calma. Ma l'Opera di Parigi vive in polemica fin dall'epoca di Liebermann, dagli anni 1970, non si ferma mai. Non lavoriamo con la massima serenità a Parigi, soprattutto rispetto ad altri teatri.
Come riassumerebbe esattamente i suoi anni parigini?
Escludiamo il bilancio economico perché io non c'entro nulla, né per i "giubotti gialli", né per la riforma delle pensioni, né per il Covid. Prima di queste crisi, l'Opéra andava piuttosto bene, tranne per il fatto che bisogna garantire e riempire ogni sera circa il 90% della sala per far funzionare il Teatro, quindi c’è sempre tensione perché ogni insuccesso deve essere pagato cash.
Io penso soprattutto ai miei spettacoli parigini, Moses und Aron di Romeo Castellucci, Lear di Calixto Bieito, Sneguročka (La Fanciullla di neve) di Dmitry Tcherniakov, Lady Macbeth di Mzensk e Il Castello di Barbablù di Krzysztof Warlikowski, Cosi fan tutte di Anne Teresa de Keersmaeker, cioè spettacoli molto belli, con cantanti e direttori molto bravi nel complesso; credo che abbiamo prodotto spettacoli bellissimi. Ho avuto la possibilità di portare a Parigi, probabilmente anche grazie ai miei anni alla Scala, alcuni artisti con cui avevo già lavorato e che a poco a poco hanno seguito il mio progetto e sono venuti a Parigi. Ecco cosa ne ricavo. Quello che ritengo dai miei anni a Parigi è essenzialmente l'artistico.
Siccome si parla molto sul modo di gestire l'Opéra di Parigi, molti suggeriscono di introdurre una compagnia stabile alla tedesca in questo teatro, dato il modo in cui l'Opéra-Bastille è stata originariamente pensata con un repertorio in alternanza. Lei crede che sia concepibile?
Non credo che sia una soluzione possibile per diversi motivi. Prima di tutto, penso che non sia nella cultura francese e non sarà mai nella cultura francese imporre un vero e proprio teatro di repertorio.
Cos'è un teatro di repertorio? Innanzitutto è un teatro dove si va in scena ogni giorno, e quindi le prove generali non sono la sera, ma la mattina: è un completo cambiamento di cultura, di organizzazione del lavoro che è necessario per fare repertorio.
Inoltre, sono convinto che il personale non sia affatto pronto nella sua cultura ad assumere un teatro di repertorio, cioè a provare molto meno, soprattutto per le orchestre. Ma neanche il pubblico è pronto, perché si aspetta che lo spettacolo sia eccezionale, il pubblico vuole lo straordinario, e il teatro di repertorio offre il contrario, offre l'ordinario. In Francia (come in Italia tra l’altro) non è possibile.
Devi vendere i biglietti ogni sera, e non si vendono biglietti di circa 200 euro con cantanti medi. Anche a Monaco di Baviera, Klaus Bachler 17 dice che se non ha una stella del canto non riempie la sala, ancora meno a Parigi dove non c'è una grande tradizione di pubblico per l'opera.
Certo, capisco che il repertorio possa attrarre persone interessate all'opera, per la questione della cultura, di ciò che il teatro racconta ogni sera. Ma questo sistema pone problemi di organizzazione e di rapporto con il lavoro che sono molto diversi dalle nostre abitudini. Sono stato direttore del Festival di Vienna per diversi anni e mi sono trovato all'Opera di Vienna in alcune serate per ascoltare spettacoli che un pubblico parigino non avrebbe accettato, ma dove anche i direttori d'orchestra si trovano in difficoltà, ad esempio, con un solo servizio di tre ore per una Valchiria che ne dura tre e mezza, non possono neanche ripassare l’intera partitura con l'orchestra prima dell'esecuzione.
A Parigi, un sistema di repertorio dovrebbe supporre che una prova generale si svolga al mattino come ho detto, e che si vada in scena la sera, cioè due volte al giorno, con quali mezzi? Con le nostre 500 rappresentazioni e i nostri due teatri, l'orchestra è già raddoppiata, quindi dovremmo quadruplicarla? Ci sono settimane nel nostro sistema in cui entrambi i teatri sono occupati ogni giorno, quattordici spettacoli a settimana. Quindi un sistema di repertorio ci costringerebbe a suonare ogni giorno in entrambi i teatri per tutto l'anno? È impensabile... Né il personale né il pubblico sono preparati per questo. Neanche per sogno.
E come vede il futuro di questo teatro?
Lo dico chiaramente: se lo Stato, come sembra, ha l'unico obiettivo di ridurre le sovvenzioni, questa istituzione dovrà cambiare completamente la sua governanza. Dovrà diventare una fondazione privata con una dotazione dello Stato e una gestione completamente indipendente che possa gestire il tutto come un’impresa. Perché attualmente ha tutti i difetti del pubblico e non può essere gestito come un'azienda privata, perché il nostro statuto di Istituzione pubblica ci dà vincoli statali che stanno diventando molto difficili. Quando lo Stato ha una maggioranza del 60 o 70%, come nella Comédie-Française, non c'è problema, ma quando lo Stato è un azionista di minoranza del 40%, non vedo come potrebbe dettare la sua legge di gestione di fronte ai manager dell'opera che dovranno gestire quest'impresa e saranno indotti a prendere decisioni contrarie a quanto lo Stato concederà loro. Solo un esempio, la questione del tetto occupazionale e la sua inutilità, che è un vincolo che impedisce la corretta gestione dell'azienda su cui sia il Ministero della Cultura che quello delle Finanze sono d'accordo, ma non succede nulla. E sono anni che lo chiedo. Se non si riesce a gestire l'impresa, non si può contemponeamente dare la colpa agli operatori che la gestiscono e impedire a loro di avere la capacità di gestire. Siamo in un sistema liberale o addirittura ultraliberale e imponiamo vincoli alle aziende pubbliche che sclerotizzano il sistema e non funzionano più.
E poi vorrei aggiungere un'altra cosa: dal mio punto di vista, domani ci dovrà essere un direttore per l'Opéra-Garnier e uno per la Bastille, un direttore artistico che si occupi del balletto e un direttore artistico che faccia lirica, ognuno dei quali legato a ciascuno dei teatri, anche se il balletto può venire a Bastille e la lirica a Garnier. Questi due posti sarebbero occupati da due direttori artistici con sopra un presidente retribuito, il capo dell’Opéra come a Radio France o France Télévision. Oggi questo lavoro, come lo volevo fare, sette giorni su sette, non è più possibile. Se vogliamo accompagnare gli artisti come direttori artistici durante le prove, se vogliamo fare quello che abbiamo promesso loro quando li abbiamo assunti e prenderci il tempo di discutere con loro il progetto, un giorno avremo bisogno di due direttori che si assumano la responsabilità artistica ma non possiamo allo stesso tempo occuparci del mecenatismo, dei sindacati, dei media, passando 10 ore al giorno con 1 ora per l'artistico e 9 ore per il resto. Ecco, non è il lavoro che avevo voluto quando ho iniziato la carriera ed è per questo che per me era urgente tornare a dirigere un teatro misura d'uomo.
References
1. | ↑ | tedesco, già direttore del casting di Gérard Mortier à Parigi e direttore della Canadian Opera Company di Toronto |
2. | ↑ | Stéphane Lissner ha diretto all’inizio della carriera il Théâtre M2canique di Parigi, poi è stato a Aubervilliers (teatro di banlieue parigina), poi al Centro Drammatico di Nizza, poia Parigi alle Bouffes du Nord con Peter Brook, e al Théâtre de La Madeleine |
3. | ↑ | Al Théâtre du Châtelet-Théâtre Musical de Paris, che dipende dal Comune di Parigi e non dello Stato |
4. | ↑ | NdR: Tézier, Netrebko, Eyvazov, Kaufmann, Rashvelishvili, Pirozzi |
5. | ↑ | NdR: tra l’altro al Real Sito di Carditello |
6. | ↑ | NdR: prod. Aix-en-Provence |
7. | ↑ | NdR: allora "Commissario" del San Carlo di Napoli, la cui opera, come spesso accade, ha suscitato polemiche, soprattutto per quanto riguarda l'acustica |
8, 9. | ↑ | Ved. introduzione |
10. | ↑ | NdR, Ministro della Cultura |
11. | ↑ | Direttore dell’Opera di Lione e a partire dal sett. 2021 direttore a Monaco di Baviera |
12. | ↑ | N.d.R.: e quello che farà Alexander Neef in attesa della nomina del suo successore a Toronto, secondo i termini dell'accordo con il Ministero della Cultura francese |
13. | ↑ | Per conoscenza: lista dei -numerosi- direttori dell’Opéra de Paris dal 1973: - Rolf Liebermann (1973-1980) - Bernard Lefort (1980-1983) - Interim Alain Lombard-Paul Puaux (1983-1984) - Massimo Bogianckino (1984-1986) - Jean-Louis Martinoty (1986-1989) - Georges-François Hirsch (1989-1992) - Jean-Marie Blanchard (1992-1994) - Interim Jean-Paul Cluzel (1994-1995) - Hugues Gall (1995-2004) - Gérard Mortier (2004-2009) - Nicolas Joel (2009-2014) - Stéphane Lissner (2014-2020) - Alexander Neef (2020-…) |
14. | ↑ | NdR: “Solidali, Unitari, Democratici” ; è un sindacato recente assai -una ventina di anni- di estrema sinistra |
15. | ↑ | più o meno l’equivalente francese - ma assai più radicale - della CGIL |
16. | ↑ | Rolf Liebermann era svizzero, ed era stato prima direttore dell’Opera di Stato di Amburgo |
17. | ↑ | Intendente della Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera |
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© Kasia Strek (pour La Croix) (Portrait Lissner)
© Agathe Poupeney / Opéra National de Paris (Iolanta)
© Claude Truong-Ngoc (Rolf Liebermann)
© Bernd Uhlig / Opéra national de Paris (Moses)