Nonostante le condizioni imposte al mondo dello spettacolo, il Festival Arsmondo 2021 dell'Opéra National du Rhin a Strasburgo si svolgerà in due parti: prima in forma virtuale, attraverso una serie di eventi virtuali dal 20 al 27 marzo, e poi - si spera - in forma "live" a giugno, quando il pubblico potrà nuovamente - almeno si spera- visitare teatri, sale da concerto e altri luoghi.
Dopo il Giappone e l'Argentina, il Libano è sotto i riflettori questa volta, e il festival inizierà con la prima mondiale di un'opera commissionata al compositore e artista visivo libanese Zad Moultaka. Hémon è una riscrittura del mito di Antigone, con il ruolo principale interpretato dal controtenore Raffaele Pe, che abbiamo incontrato per saperne di più su questa creazione.
L'esplosione di interesse per il barocco in Italia negli ultimi anni, dopo essere rimasta indietro rispetto ad altri paesi europei, è stata accompagnata dall'emergere di una varietà di ensemble e orchestre, e di nuove voci, il che è giusto, dato che l'opera è nata in Italia e il repertorio è in gran parte italiano. In questo mondo brulicante di iniziative entusiasmanti, Raffaele Pe è una figura originale: controtenore con un’estensione vocale sorprendentemente ampia, fondatore di un'orchestra La Lira di Orfeo e di gruppi di ricerca, è un tipico esempio di questi nuovi artisti interessati all'intero campo artistico che rappresentano. Così, alla vigilia di imbarcarsi in questa prima esperienza di un’opera contemporanea, dimostra una curiosità e una fiducia nel futuro che sono roboanti in questi tempi difficili.
È la prima volta che partecipa alla prima assoluta di un'opera nuova?
Si, è la prima volta. È una sfida vocale molto impegnativa, e anche immaginativa per la mia tessitura, per il mio registro. Sono stato molto emozionato quando Zad Moultaka mi ha proposto questo spartito, perché penso che lui abbia molto compreso le potenzialità della mia voce, e credo che sarà anche un modo per mettermi alla prova in modo inedito anche per gli ascoltatori che sono abituati a sentirmi nel repertorio barocco o nel repertorio classico.
Il compositore L'ha scelta personalmente?
Si, perché la sua idea iniziale era di avere una voce così flessibile, un personaggio che, nella sua rappresentazione vocale, fosse così flessibile da poter incontrare tutte le possibilità espressive della voce, sia quelle più profonde del baritono che quelle più sensibili e eteree del mezzosoprano o del soprano. Naturalemente, per me è stata una ricerca molto difficile, ma fortunatamente ha scoperto mio lavoro tecnico prima ancora che vocale, un lavoro che da sempre è stato fondato su una profonda comprensione del mio registro di petto, come strumento per poter essere più espressivo nel mio registro di testa. Allora su questa base è nata l’idea di creare un ruolo in questo modo così esteso e anche, direi, impressionante nella presenza.
Quindi è una parte scritta su misura?
Si, devo dire si, perché abbiamo avuto diversi scambi durante i mesi in cui stava completando lo spartito per comprendere esattamente dove cambiare i registri e dove i registri potessero essere fusi, in base proprio alle mie possibilità vocali. Ma utilizzandole proprio all’estremo, e questo è molto interessante.
Questa scelta è stata dettata dal personaggio che doveva interpretare?
Hémon è una figura mitologica, del racconto classico della storia di Antigone, che ha un percorso nuovo per il pubblico. Infatti, lo stesso Hémon è piuttosto nuovo come personaggio. Tutti conoscono Antigone che si suicida e che lascia il mondo dei vivi per raggiungere il fratello Polinice che è stato considerato dal re di Tebe Créon un traditore della patria. Quello che meno sappiamo della storia è il racconto di Hémon che è il promesso sposo di Antigone e figlio di Créon. Hémon si trova a metà tra due figure di grandissima potenza espressiva e di carattere che sono Antigone, la sua amata, e Créon suo padre; e in questa situazione di mezzo si trova ad essere l’unico che veramente vive la tragedia, perché sia Antigone che Créon lo lasciano, Antigone uccidendosi, et Créon lasciando il regno nelle sue mani, ma senza una sposa.
È una storia stupenda, e il libretto di Paul Audi è meraviglioso. È una storia della fragilità, e si scoprirà soltanto nell’ultimo tableau, quando Hémon cercherà di ricostruire la Tebe distrutta, il popolo di Tebe distrutto moralmente più che fisicamente, sul pensiero della fragilità, come pensiero di potere e di forza, in un momento di soltanto apparente debolezza. La vera voce di Hémon non è quella di baritono, o di basso, che si sente all’inizio dell’opera, ma quella su cui fonda la sua sapienza, la sua grande immaginazione sociale, che è di fondare il proprio popolo sul valore della fragilità. Quindi la sua voce deve abbracciare questo valore, ed è proprio per questo che da qui si passa da contralto a soprano soltanto alla fine dell’opera, come vero colpo di scena.
Sembra molto interessante...
Sono rimasto io stesso molto colpito. Anzi non avrei accettato questo lavoro con così tanto entusiasmo se non avessi visto il grande valore culturale e intellettuale di un’operazione di questo genere.
È una musica difficile da imparare?
Moltissimo! È un linguaggio che ha al suo interno delle regole molto chiare, che però sono estremamente diverse dal linguaggio classico, sono delle regole a cui piano piano l’orecchio e il corpo devono abituarsi per l’emissione. Non esiste veramente una melodia per gradi congiunti come siamo abituati a sentire nel periodo classico, però in tutto questo devo dire che riesce a toccare dei momenti di grande espressionismo, con grande coscienza, proprio perché in qualche modo ricorda molto del novecento tedesco, francese, insomma, che ha molto che fare con il nostro repertorio passato.
Il libretto è scritto in francese ?
È tutto in francese, ma ci sono dei chiari riferimenti al mondo greco. Mi è sembrato anche un’operazione interessante per le origini dell’opera, che è una cosa di cui io spesso mi occupo quando mi confronto col repertorio barocco. Per i barocchi le loro opere erano una ricreazione delle tragedie greche, come loro pensavano che le tragedie greche fossero. Questo è interessante, ho la sensazione che per Zad la ricerca di questo linguaggio originario, di questo grado zero della comunicazione vocale e musicale, legata all’imaginario greco, sia a bada alla ricerca degli stessi valori.
Ha mai cantato opere del Novecento?
Si, ho cantato Oberon nel Midsummer Night’s Dream di Britten, e anche alcuni autori attuali inglesi soprattutto, devo dire che il mondo anglosassone ha dedicato al registro di controtenore, soprattutto oggi, una grande attenzione da parte di compositori, più che in altri contesti. Ma appunto, è interessante vedere che piano piano il mondo dei compositori contemporanei si sta aviccinando sempre di più a questa vocalità con maggiore entusiasmo. Britten quando scrive per Alfred Deller questo ruolo cosi importante per i controtenori, perché sarà il primo negli anni sessanta, che lancerà la vocalità di controtenore sulle scene teatrali per la prima volta dopo secoli, quello che Britten richiede a Alfred Deller è molto più contenuto. Insomma, in più di sessant’ anni, la ricerca è già arrivata rispetto a quella vocalità a delle opere cosi complesse e articolate.
Le prove sono già cominciate?
No, sono ancora in Italia perché, appunto per la pandemia, è stato posticipato di un mese il lavoro. Ma è stata mantenuta la stessa data di debutto.
In questi giorni, gli spettacoli sono ripresi in video, se non presentati al pubblico. Sarà il caso di Hémon?
Sappiamo già che sarà un prodotto sicuramente trasmesso da Radio-France; ((Il 20 marzo alle ore 20 su France-Musique)) c’è una parte televisiva e la stanno definando in questo momento. Zad Moultaka non è soltanto il compositore dell’opera, ma firma anche il suo aspetto visivo perché lui è un artista visual. Une altra cosa che ci lega, che mi fa molto piacere ricordare: io l’ho conosciuto senza che lui lo sapesse, alla Biennale di Venezia del 2017 dove lui era curatore del padiglione del Libano. In quella occasione era presentata la sua espressività, il lavoro presentato univa immagini e suono, una ricerca che io ho sempre molto amato, anche nei miei studi passati. Quando lui mi ha cercato per essere interprete di questa sua opera, ho subito colto la proposta con entusiasmo perché ho capito che era un modo di vedere lo spettacolo teatrale nel periodo attuale sicuramente molto affascinante.
Quindi Lei si è abituato a cantare senza pubblico? Qualche mese fa si poteva vedere lo streaming di Aci, Galatea e Polifemo di Haendel, registrato a Piacenza.
È stato davvero un miracolo poterlo fare, perché il giorno del debutto, che era previsto con tutto il pubblico (i teatri avevano riaperto in Italia) è uscito un nuovo decreto governativo che chiuse tutto. Avevamo la paura di perdere tutto il lavoro fatto, perché era un tentativo di ricostruzione per la prima volta della versione scritta per Senesino, quindi sarebbe stato un peccato non poterla debuttare. È stato una fortuna che ci fosse questa proattività da parte del teatro, di creare subito le condizioni per filmare lo spettacolo, anche se chiaramente lo spettacolo era pensato per essere visto dal vivo; le proporzioni dello spazio, i costumi, le luci, erano pensate più per essere viste per davvero nello spazio del teatro. É una cosa che non pensiamo, ma cambia moltissimo la percezione della telecamera rispetto allo stare nello spazio teatrale. Però sono molto contento del resultato e di aver potuto realizzare questo in un periodo storico così difficile.
Non è troppo difficile cantare a teatro vuoto?
Io penso che la cosa più importante in questo periodo dovrebbe essere di pensare il prodotto subito dall’inizio rispetto al medium che si sceglie. Se è pensato per la televisione, è un prodotto televisivo, non è un prodotto teatrale, è un’altra cosa. Sebbene possa includere il canto, la musica e la scrittura d’opera per il teatro musicale. Però questo è chiaramente una sfida. In questo momento, non ho visto ancora prodotti che veramente abbiano abbracciato le potenzialità dei mezzi e si sono arroccati nella loro propria espressività. Non possiamo andare in teatro, allora facciamo vedere il teatro comunque in televisione. Ma non è questo il punto, io credo; sarebbe come portare un quadro dentro di una performance. La performance è pensata per essere vissuta in un certo modo, la pittura ha tutto un altro senso, è anche maturata in un tempo differente. Questo è un po la fatica che stiamo vivendo come artisti, come performer, ma anche come artisti visivi, in questo 2021 ancora difficile per i teatri.
Lei non è solo un cantante, ha anche creato la Sua orchestra...
Si, “La Lira di Orfeo”, è un esperimento di cui sono molto fiero perché spesso, l’immaginazione di un cantante viene contenuta a volte nello spazio di espressione del proprio campo. Pero ho sentito in questi anni il desiderio di imprimere anche dentro all’espressività degli strumenti un po’ il mio modo di vedere vocalmente questa musica. Dobbiamo anche pensare che la musica soprattutto barocca, quella per cui adesso sono molto attivo, è una musica che nasce assolutamente dall’espressività vocale, anche per gli strumenti. Tutti i trattati dell’epoca ci dimostrano questa cosa con grande chiarezza. Un altro elemento importante per l’orchestra dell’epoca è l’assenza del direttore, una figura più beethoveniana che haendeliana: il Konzertmeister nell’orchestra barocca guidava l’orchestra suonando all’interno dell’orchestra stessa, ricercando il tempo teatrale del cantante. È un’esperienza completamente diversa dal tipo di teatro musicale che l’Ottocento ha poi imposto nel nostro immaginario sonoro... Allora io penso che si possa essere una possibilità diversa, e soprattutto “La Lira” è anche una grande scatola di artisti e di ricercatori che lavorano con me, quotidianamente sempre alla ricerca non solo di un nuovo repertorio rispetto al passato, ma anche un modo attuale per poterlo mettere in scena... Quello che si è visto anche né Aci e Galatea, quella ricerca sul video, sull’utilizzo delle proiezioni, che sembrano tutti elementi scontati ma dei quali in realtà abbiamo tantissimo da imparare e da immaginare, sono per me davvero un motivo di grande entusiasmo nell’immaginare il concerto come un momento appunto di performance e di grande espressivià sotto tutti gli aspetti.
Questo Le permette di realizzare i Suoi propri progetti?
È bello che ci sia questa intesa con i direttori artistici quando mi approcciano. Si è capito che la mia proposta artistica non è solo un lavoro molto profondo sulla voce, sulla vocalità, ma è qualcosa che, attraverso la voce, arriva a toccare diversi temi importanti legati all’esperienza dello spettacolo: dal tipo di musica scelta fino al tipo di luce che verrà proposta all’interno dello spettacolo. Questa cosa è naturalmente una sfida, anche per i direttori artistici che la sposano; in questo momento sono molto contento delle figure che io ritengo molto vicino a me in questo panorama e che hanno capito il mio potenziale e il potenziale di questo ensemble. Devo dire che ad esempio, un altro progetto che mi piace qui annunciare in antiprima, sarà la grande riscoperta dell’Orfeo di Porpora, scritto da Porpora per Farinelli nel 1736, un’opera che andrà in tour nell’Europa per celebrarne la riscoperta in tempi moderni e per il quale stiamo preparando tutto un aspetto visivo, spaziale, filmico, video...
E questo spettacolo andrà in Francia, dove L’abbiamo sentito raramente?
Non, infatti purtroppo, questo spettacolo nascerà a Vienna, al Theater an der Wien , e girerà in diversi paesi, però non in Francia in questo momento, anche se mi auguro che Versailles o la Philharmonie di Parigi, o Lyon possano in qualche modo interessarsi al progetto. Devi immaginare che sono sempre progetti anche ambiziosi da un punto di vista economico, non è scontato che possano facilmente essere inclusi all’interno di una programmazione. Però credo che sia anche parte del loro fascino.
In futuro, prevede qualche ruolo importante?
Questo 2020 ero molto eccitato all’idea di poter cantare Serse di Haendel al Teatro Colón di Buenos Aires, avrei debuttato in novembre. Era una produzione molto attesa per me, non solo per il pubblico del Colón che mi è molto caro e a cui sono affezionato, un pubblico che mi ha conosciuto grazie alla Poppea che aveva fatto Jean-Christophe Spinosi nel 2019 con Veronica Cangemi che cantava Poppea ed io Nerone. Sono sicuro che verrà riprogrammato, si tratta solo di attendere un po’.
Poi, tra i progetti che stanno per arrivare, ci sarà questa ripresa del Farnace di Vivaldi alla Fenice, che è anche un progetto molto bello, e che stiamo riprogrammando in questi giorni per la prossima estate, vi terremo aggiornati sulle date appena sarà possibile annunciarle.
Poi, c’è anche un altro bellissimo lavoro, di cui sono contento di essere promotore insieme al Festival di Martina Franca: per i trecento anni della Griselda di Scarlatti, riporteremo in scena quest’opera, io nel ruolo del protagonista maschile, insieme a George Petrou, nella prima settimana di agosto. Questa è un occasione bellissima perché, come saprai, in questo momento sono disponibili pochissime registrazioni di opere di Scarlatti in video, e pochissime produzioni, quindi credo che sarà una bella occasione di fare riscoprire al pubblico la grande capacità di scrittura teatrale del nostro “papà” Alessandro Scarlatti, io lo considero un po’ così, a lui ho dedicato tantissimo lavoro di ricerca, anche registrazione dei concerti sacri e lavoro sulle sue cantate, ma io credo che sia proprio nella scrittura per oratori e la scrittura teatrale la sua vera essenza, il fatto che non possiamo sentirlo cosi spesso è un gran peccato.
Allora speriamo in bene...
© Robert Workman (Agrippina, The Grange Festival)
© Tristram Kenton (Glyndebourne)