Ha diretto con successo in questi ultimi mesi Guillaume Tell a Marsiglia grande successo della stagione attuale, dirige il Don Carlos di Verdi nella versione francese a Basilea fino al 22 maggio e nello stesso momento La Belle Hélène di Offenbach (in versione tedesca, Die Schöne Helena) alla Komische Oper di Berlino fino al 4 giugno. Ha anche appena fatto il suo debutto alla Bayerische Staatsoper in Cenerentola. Insomma, si comincia a vedere questo giovane direttore che non ha ancora trent'anni in tutta Europa, e naturalmente nella sua Italia dove ha appena fatto Il Signor Bruschino a Bologna, che ha creato a Pesaro nell'estate 2021 nella bella produzione di Barbe et Doucet (vedi sotto il nostro articolo). Wanderer lo segue da diversi anni e ha gradualmente notato la sua installazione tra i direttori più interessanti della giovane generazione italiana, che è ricca di grandi speranze della bacchetta come si sa. Caloroso e disponibile, ci ha ricevuto prima di una recita di Don Carlos a Basilea per una conversazione particolarmente interessante.
Lei ha diretto molto Rossini, anche Offenbach – lo fa addirittura alla Komische Oper di Berlino in questi giorni- ma non sembra aver tanto diretto Verdi. Come si è cimentato con Verdi?
Devo dire che agli esordi della mia carriera, sono tutto partito con Verdi perché ho frequentato tantissimo gli ambienti di Busseto, di Parma ed ho avuto la possibilità di dirigere tantissimi concerti anche nella casa di Verdi, quindi diciamo che c’è un background che mi aveva predisposto, anche perché poi mia nonna per esempio si è diplomata a Parma, quindi ho avuto sempre un forte legame con la città di Parma e con Verdi stesso. Poi diciamo che per una cosa o per l'altra ho sempre aspettato a dedicarmi al repertorio Verdiano anche per una questione di rispetto verso l'autore. Il primo Verdi che ho diretto è Traviata a Palermo l’estate scorsa, e mi sono trovato benissimo, poi ho anche fatto Rigoletto che è un'opera in cui mi trovo assolutamente a mio agio.
Poi, devo dire che è iniziato un percorso perché in seguito al Guillaume Tell: ho praticamente creato un connubio tra la musica verdiana e il Grand-Opéra per arrivare al Don Carlos che secondo me è il massimo dell’espressione verdiana.
Infine, curiosamente sono molto legato anche a Verdi, per quanto riguarda il Concours de Liège 1 di cui ho vinto il premio e in finale diressi il Falstaff. Quindi diciamo che un po’ di connessione c’è.
Però, dirigere Don Carlos a 28 anni, è un po’ una sfida, no?
Si, una sfida totale !
In particolare la versione originale in francese...
Che è meglio di quella italiana! Perché c’è molta più coerenza per quanto riguarda la storia. Il testo ha anche più vicinanze al dramma di Schiller. Devo dire che per me è un vero challenge sicuramente dirigere Don Carlos. Spero che sia il primo di tanti altri Don Carlos (o Don Carlo). Nella vita bisogna sempre partire a un certo momento, cominciare bene e poi seguire e consolidare il suo percorso .
È il teatro di Basilea che ha proposto il titolo?
Diciamo che è stata una pazza idea di Jean Benes 2 e di Benedikt von Peter 3 che ho subito colto!
Ho accettato questa sfida con estremo piacere perché è comunque un repertorio che conoscevo già: bene o male avevo già diretto quasi tutte le arie dell’opera in concerto, quindi si trattava di mettere tutto insieme.
Ma Lei ha anche esperienze col repertorio in francese perché ha già diretto La fille du Régiment (a Bergamo) Barbe-Bleue a Lione, e poi si è laureato a Ginevra…
Allora come la vede questa versione originale francese? Qual'è la cosa particolare che la rende molto più interessante della versione italiana?
Ci sono parecchi aspetti che secondo me la rendono migliore rispetto a quella italiana.
Il primo è evidente: il più lapalissiano di tutti è l'atto di Fontainebleau; è assolutamente fondamentale, e non solo a livello drammatico anche se si comprende meglio quello che succederà successivamente senza dare per scontato una parte della storia. Ma anche a livello concettuale, perché l'atto di Fontainebleau è una delle più grandi novità musicali della storia del secondo Ottocento. Diciamo che è la somma di tutti i temi che poi dopo verranno sviluppati nel corso dell'opera: vengono in qualche modo citati sia a livello tematico che nei dettagli, dettagli che saranno come dei leitmotiv di tutta l’opera. Questo appunto è uno dei motivi più evidenti.
Uno degli altri motivi sicuramente è l’utilizzo della prosodia. Innanzitutto, nella versione francese il testo è ancora più connesso col testo di Schiller. Ci sono dei momenti in cui veramente il testo di Schiller stesso (tradotto in francese) è messo in musica tale quale.
Per quanto riguarda la prosodia è tutto molto più fluido. Ho studiato prima le due partiture cioè la versione ifrancese e quella in italiano per un arricchimento personale. E studiando le due ho trovato molto più scorrevole la francese, molto meno macchinosa nel parlato e pertanto è incredibile come le due versioni differiscano dal punto di vista dell’interpretazione: cantare in francese è una cosa, cantare in italiano un’altra.
Il testo francese, a volte dona meno lirismo alla struttura delle scene, creando a volte delle atmosfere anche più intime, mentre la versione italiana, dove il lirismo è molto più spinto, è molto diversa da interpretare. Per questo ci vogliono anche forse tipi di interpreti diversi.
Facciamo per esempio l’aria di Filippo che forse in Italia è fra le arie più cantate Ella giammai m’amò. Se cantiamo solo Ella giammai m’amò, sentiamo un’allitterazione forse casuale, forse non casuale, ma c'è comunque qualcosa che non fa fluire il testo, coll’impressione che fa fatica. Invece elle ne m’aime pas è molto più fluido e fa si che il discorso musicale sia anche più legato della frase. Questo è uno dei motivi per cui i direttori prediligono la versione francese.
Poi per quanto riguarda la differenza tra i brani musicali, come per esempio la presenza di alcune parti o no, non si può giudicare l'operato di un genio come Verdi. I brani musicali, sia nella versione italiana, la versione francese e nelle versioni varie sono tutti bellissimi.
E una delle difficoltà della versione francese, appunto è quella: cosa tenere? cosa tagliare?
Questo è stato il percorso più complesso perché abbiamo dovuto trovare una versione adatta anche alle esigenze dell’organizzazione del Teatro e della durata complessiva dello spettacolo. È stato molto interessante il lavoro con Vincent Huguet con cui mi sono trovato benissimo.
Quali sono i tagli?
Ci sono delle cose tagliate per forza.
Quelle più eclatanti sono tre:
- La prima è il coro iniziale dei boscaioli L’hiver est long. Iniziamo col coro dei cacciatori.
- La seconda, il balletto della Regina “La Peregrina”
- La terza il coro dopo la morte di Posa il famoso “Lacrimosa” (chiamato così per riferimento alle musiche riutilizzate nella Messa di Requiem).
Perché tagliare il Lacrimosa, che è la musica forse più emblematica della versione originale?
Lo so, e ogni musica di Verdi è meravigliosa. E questa in particolare è bellissima: la eseguirei ogni giorno. Soltanto secondo me a livello drammaturgico il Lacrimosa non è un’ interruzione giustificata. Infatti Verdi stesso lo tolse. Il coro rallenta l’azione prima del finale dell’atto (la scena della ribellione) e ci è sembrato più pertinente legare direttamente la morte di Posa e il finale dell’atto.
Se dovessimo fare tutta l’opera durerebbe più di 5 ore, non era possibile, bisogna anche fare delle scelte dolorose.
Significa che vi siete più o meno riferiti alla versione detta di Modena (1887) in cinque atti (e in italiano).
Esattamente, è stato la nostra fonte d’ispirazione. Ma ci sono anche due brani quasi mai eseguiti che sono molto orgoglioso di poter eseguire, il primo è il duetto fra Philippe e Rodrigue che è la primissima versione che Verdi scrisse, l’altro è appunto dopo il Lacrimosa, che abbiamo tolto, la musica della ribellione che non è né quella di Modena, né quella di Milano, ma quella tra le prime che Verdi scrisse per Parigi, musica completamente diversa praticamente mai registrata.
Allora aspettiamo ormai da Lei un Don Carlos completissimo. Ma non resta che identificare quale "vera" versione completa, che è un labirinto…
Assolutamente. Come abbiamo fatto per Guillaume Tell à Marsiglia, che era quasi completo. Sono molto consapevole che eseguire le versioni senza tagli cambia molto le cose. Ho eseguito a Pesaro la versione completa del Barbiere di Siviglia, con tutti i recitativi non tagliati. E la bellezza dei recitativi in se , non tagliati e pronunciati bene è enorme. Dove vengono tagliati c’è qualcosa che non funziona, su questo sono completamente d’accordo. È come eseguire Mozart ex abrupto!
Lei ha detto che si è trovato molto bene nel lavoro con il regista Vincent Huguet. Ci può precisare cosa significa per Lei “trovarsi bene con un regista”?
Ci sono vari aspetti: il primo è che umanamente, mi sembra banale dirlo, ma con dei colleghi con cui ti trovi male umanamente è difficilissimo lavorare. Con Vincent abbiamo anche uno stile simile dal punto di vista anche della vita di tutti i giorni e abbiamo insomma un approccio serio e professionale all'opera, anche con un grande rispetto della partitura. Questo è una delle cose fondamentali, una ricerca, un’ attitudine al lavoro molto seria e approfondita con una capacità a non accontentarci dei risultati che ottenevamo, ma di sempre cercare di andare oltre, di migliorarsi imparando uno dall’altro.
Perché molto spesso c'erano alcuni colori nell’ orchestra che mi sono stati suggeriti da alcuni gesti che lui ha suggerito ai cantanti e viceversa alcuni altri, invece suggeriti dalla forza della musica.
Quello che mi piace della sua regia è che già la storia del Don Carlos è estremamente complessa per un ascoltatore che lo scopre per la prima volta. Quando uno si trova davanti ad un mastodonte come Don Carlos, la prima cosa che deve fare è cercare di capire la storia, perché una volta che si capisce la storia si capiscono i personaggi. Secondo me poi dopo c'è anche una compartecipazione maggiore, rispetto a quello che sta succedendo e devo dire che la forza di questa regia sta nel far comprendere tutto ciò che succede in una maniera chiara (e non era semplice) ma comunque sempre estremamente raffinata.
Adoro le scene che mi danno una sensazione di grandezza com’è naturale nel Grand-Opéra. Ma al contempo danno anche questa dimensione onirica che fa sì che porti questa musica a un livello molto più alto, molto più etereo, ci si può concentrare bene su tutto quello che succede in particolare nell'autodafé.
A volte i registi mettono in difficoltà il direttore d'orchestra utilizzando delle posizioni per i cantanti o veramente strane o comunque contro quello che può essere il rapporto tra artista che sta cantando, direttore e orchestra e queste cose non sono successe, anzi abbiamo cercato insieme di trovare delle soluzioni che potessero andare bene a tutti.
Ma qual è la Sua posizione sulla regia d’opera. Ci sono molte polemiche da anni sulla regia…
Domanda delicata per un direttore di 28 anni, tentato di rispondere in modo “politically correct”. Forse a quarant’anni mi sentirei più libertà per dire davvero quel che penso. Però se devo essere sincero, quello che mi fa storcere il naso è quando un regista non conosce la musica; perché a volte i registi non conoscono la musica, ma neanche il testo o la lingua di quello che stanno per mettere in scena.
Lo trovo abbastanza vergognoso perché quando un direttore d’orchestra si approccia ad una certa opera conosce il repertorio, lo stile musicale e lo stile vocale, e spesso la lingua; non capisco perché nel contempo il suo più stretto partner di lavoro per la produzione di un’opera sappia a malapena pronunciare il titolo dell’opera in maniera corretta. Già questo mi fa scremare tra quello che può essere un buon regista da un cattivo.
Per quanto riguarda invece regia moderna, contemporanea e regia classica, tradizionale, secondo me non esistono regie corrette o no, esistono regie coerenti o non coerenti. Dove c'è coerenza per me c’è bellezza, essendo anche un esteta sia a livello musicale che a livello anche intellettuale, cerco sempre di trovare il bello. Non è necessario un bello soggettivo, c'è un bello globale: può essere anche la figura più brutta del mondo che resa in quella atmosfera, con quel tipo di luce, con quel tipo di colore può essere veramente molto scenografica e fare molto effetto: questo può sicuramente essere un punto a favore di un regista.
Un terzo e ultimo punto, che secondo me è un fattore determinante, è capire che l'opera nella parola stessa è una commistione di arti. Una commistione di teatro, musica, danza e per questo motivo tutte le componenti devono essere messe a loro agio.
Non si può creare un tipo di musica con una regia che penalizzi il canto perché questo è una mancanza di rispetto verso tutti gli altri professionisti (esclusi il team creativo registico).
Al contempo non bisogna insistere, magari su tipo di regie “storiche”. Bisogna ovviamente cercare sempre di rinfrescare, anche le regie classiche-storiche (quelle bellissime) bisogna rendere il tutto più fresco, riammodernare nella presentazione. Comunque dove c'è rispetto, c’è la possibilità di offrire un ottimo prodotto artistico.
Questo teatro ha un profilo particolare in Svizzera: Zurigo è il teatro di repertorio di riferimento, Ginevra un teatro di stagione “all’italiana”, e Basilea, il terzo come importanza, un teatro che raggruppa prosa e opera, con qualche volta regie più spinte o esperimenti. In qualche modo un teatro della modernità con cantanti più giovani… Come si è trovato?
Mi sono trovato benissimo con tutti, davvero! In particolare, ho trovato un team di lavoro estremamente dedito alla produzione da parte di tutti: dai pianisti collaboratori al maestro del coro. Mi sono sentito una guida per loro, sono sempre stato un punto di riferimento e questo mi ha fatto molto piacere. Ho cercato di installare un po' un clima di italianità ma prendendo anche spunto da quello che loro facevano.
Specialmente con l'orchestra mi sono trovato estremamente bene. È un’ orchestra con un suono molto sinfonico e partire da un fondo sinfonico per cercare di renderlo operistico è più facile che il contrario. Per di più ci sono dei momenti estremamente sinfonici nel Don Carlos, legati al l'articolazione, al sostenuto, anche il “Klang”, il colore di certi tipi di strumenti è determinante per l’esito e quindi ho trovato sempre una grande professionalità e a prescindere dall'età anagrafica, loro mi hanno sempre fatto sentire a mio agio
Di sicuro perché hanno riconosciuto in Lei un musicista raffinato…
Appunto, scrivo spesso che in questo momento la generazione di giovani direttori italiani bravi è abbastanza ricca. Per quale motivo?
Diciamo che di tradizione si è sempre avuto un'ottima scuola di direzione d'orchestra e devo dire che anche la serietà con cui ci si approccia a questo mondo viene sicuramente dall'amore che ha un direttore italiano per l'opera. Spesso aiuta anche a approfondire o scavare un certo tipo di studio che poi porta a avere anche un successo maggiore magari.
Anche dal punto di vista caratteriale, non esistono gli stereotipi perché proprio sono anti-stereotipi. Però secondo me, almeno nei miei colleghi di pari età o più grandi o poco più piccoli noto sempre una forte denotazione caratteriale che forse viene dal fatto che le orchestre essendo sempre di più preparate hanno bisogno prima di un'attività tecnico musicale, ma soprattutto di una guida personale, una guida umana, una leadership forte che possa guidare in un percorso artistico.
Per me personalmente è bellissimo avere tanti colleghi bravi perché tanti direttori italiani di qualità è uno stimolo per avere una competitività sana. Una competitiva sana è quella che ti aiuta a migliorarti sempre di più e a cercare di spingerti sempre oltre il tuo limite.
Un direttore italiano per molti è un direttore destinato all'opera. Nella storia invece ci sono anche stati tantissimi direttori sinfonici, grandissimi. Però spesso si chiamano gli italiani per il repertorio operistico italiano e non si sente parlare del sinfonico… Come si orienta Lei sul sinfonico, sul repertorio non italiano…
Si, sono totalmente d'accordo. Motivo per cui insisto sempre per avere tanto repertorio sinfonico e per fortuna nei prossimi anni ne avrò, anche per quanto riguarda il futuro teatro che non posso annunciare adesso ma con cui lavorerò molto spesso. La stagione sinfonica sarà interamente fatta da me. Quindi mi potrò cimentare anche in grandi repertori come Bruckner Mahler e altri. Essere etichettato è la morte per un direttore d'orchestra. È il motivo per cui mi spingo anche a dirigere repertori differenti.
Non devo dimostrare niente a nessuno, ma anzi devo dimostrare a me stesso che posso spaziare da un repertorio grande, nel senso che mi posso trovare bene sia col primo Ottocento che col secondo che col primo Novecento magari. L'opera contemporanea invece, non è proprio una cosa con cui avrò mai dimestichezza perché deve esserci anche piacere personale però.
Per quanto riguarda il repertorio sinfonico secondo me è importantissimo abbattere tutti i cliché: ora che siamo nel 2022, ora che stiamo cercando di abbattere tutti i cliché come del sesso, del genere, maschio o femmina, è la stessa cosa per la musica: perché non farlo anche per il cliché di repertorio e di età, cioè, nel senso che non è vero che il direttore italiano a 30 anni non possa dirigere bene Bruckner o Mahler. Bisogna dare la possibilità per cercare di vedere quello che può portare un direttore italiano col suo background, ovviamente molto preparato: perché io parlo inglese, parlo e leggo in francese e tedesco, questo è fondamentale, perché altrimenti è difficile dirigere per istinto tutti tipi di repertori, ma approcciarsi a una terza di Bruckner senza leggere e capire la grammatica tedesca, secondo me è molto difficile.
Al contempo bisogna avere a volte l'umiltà anche di sapere aspettare la maturità musicale e umana giusta, il momento giusto nella vita.
Nel repertorio sinfonico, quali compositori ha già diretto? Dove Le portano i Suoi gusti? Da chi è attratto?
Brahms e Ciaikovskij sono gli autori che ho diretto maggiormente. È facile dirlo perché poi sono anche i più suonati. Ho diretto molto Haydn per esempio. Ovviamente anche Mozart. Però Haydn secondo me è una grande palestra sia per il direttore che per le orchestre che stanno suonando perché è un sistema molto delicato ed estremamente innovativo. Il repertorio in cui mi vorrei molto cimentarmi è il primo Novecento. Secondo me è un repertorio tecnicamente estremamente interessante per un direttore, ma diciamo che il sinfonismo mitteleuropeo, è quello che mi stuzzica di più.
Da buon milanese!
(Risate) Esatto! Ed è quello che cercherò nei prossimi anni sicuramente di approfondire pur mantenendo sempre un’ eterogeneità di scelte.
E nel repertorio operistico non italiano, ci sono cose che vorrebbe dirigere?
Si assolutamente, entro i 35 anni vorrei iniziare a dirigere almeno due titoli di Wagner, magari i più italiani come Fliegende Holländer e Tannhäuser o Lohengrin. Dopo aver diretto il Borghese Gentiluomo 4 vorrei approfondire Richard Strauss perché quest’esperienza è stata molto interessante. Korngold lo adoro e vorrei tanto dirigerlo anche.
Per ora rimpiango un po’ la mancanza di poter dirigere repertorio russo per non padronanza della lingua, perché come l’ho già detto la conoscenza della lingua è fondamentale. Però la vita è lunga…
E per Lei milanese, c’è in vista la Scala?
Per ora no, ma speriamo che possa arrivare presto. Sarei pazzo dire che non sarebbe un sogno poter dirigere in Scala. Ho diretto in Accademia della Scala, L’ho sempre vissuto come un tempio della musica, come il mio teatro e mi commuoverò il giorno in cui arriverà un contratto…
Certi giovani direttori più o meno della Sua età hanno già due o tre orchestre? Se la sente?
Onestamente no, perché avrò presto un'orchestra è questa me la voglio godere per bene.
Un’ orchestra sinfonica?
No, un’orchestra d’opera che fa anche sinfonico.
Organizzare una stagione sinfonica e una stagione operistica è già molto complesso, e poi esistono vari tipi di cariche. Ma bisogna avere anche la capacità, con il team di collaboratori, cioè agenzia ecc. … E bisogna anche avere una capacità personale di giudizio per capire quando è il momento di studiare: quest'estate per esempio, ho rifiutato alcuni contratti e starò fermo un mese e mezzo perché poi da settembre inizierà un tour infernale, e in quel mese e mezzo voglio studiare tutto quello che bisogna preparare.
È importante anche fermarsi, riflettere, leggere ma anche stare con la famiglia, godersi qualcosa anche altro. Cioè non esiste solo la musica, esistono milioni di forme di arte, anche di svago, che però possono essere dei piccoli recettori che ti fanno maturare.
Aldilà della musica, quali sono i Suoi hobbies?
Il mio hobby è un po' la lettura. Amo leggere. Oddio sono abbastanza noioso perché sono un appassionato di biografie o di autobiografie. I libri biografici sono la mia grande passione.
E cosa sta leggendo in questo momento?
In questo momento sto leggendo (cerca nella borsa) questa biografia di Bruckner 5, che è, devo dire, abbastanza interessante. Stavo leggendo anche “The Essence of Bruckner, The Essence of Bruckner: An Essay Towards the Understanding of His Music” di Simpson 6. Quando mi fisso su qualcosa, vado in fondo !
Poi su Wagner sto leggendo anche Slavoj Žižek, Variazioni Wagner 7, molto interessante e più che altro molto bello perché apre molte porte.
Però mi piace tutto, anche lo sport: mi piace correre, mi piace nuotare, mi piace guardare il calcio.
Milanista o interista?
Juventino perché mia mamma è piemontese. Io mi chiamo Michele per Michel Platini! (risata)
I Suoi progetti?
Fortunatamente lavorerò con teatri d’opera e con orchestre sinfoniche sempre più importanti. Poi, il mio ultimo contratto per ora è nel 2026, quindi devo dire che le cose vanno abbastanza bene.
Soprattutto la cosa che mi piace nel proseguo della mia carriera e che ci sarà una forte propensione alla sinfonica e ne sono veramente molto felice. Perché nasco da violinista e ho lavorato in conservatorio tanto repertorio sinfonico e quindi mi piace molto.
All’opera poi avrò tanto Verdi nel mio futuro prossimo e molti titoli variegati.
Per Puccini ci sarà tempo, anche se Bohème e Butterfly li farò abbastanza con frequenza anche Donizetti un autore che prediligo. Bellini pure è anche un autore che adoro però bisogna trovare il teatro giusto per farlo perché si deve esserci un’ attenzione alle condizioni di produzione, al cast… è più delicato.
Poi ci sarà magari qualche sorpresa interessante…
Ha avuto grande successo per il festival Donizetti l’anno scorso con La Fille du Regiment a Bergamo. Tornerà a Bergamo?
Per ora non ci sono ancora progetti in vista, ma mi sono trovato benissimo a Bergamo anche perché è stato una bellissima esperienza a tutti i livelli. A me piace molto il festival Donizetti : c'è una serietà nell’approccio, forse anche coraggioso e molto affascinante sicuramente. Poi Bergamo è la città in cui è nato il mio bambino, e ci sono particolarmente legato.
I suoi direttori del passato?
Nel mio firmamento c’è Bernstein e Abbado
Del presente?
Lo stile di Noseda mi piace molto, poi Nelsons per la sinfonica, e ovviamente Petrenko, e anche Daniele Gatti.
Un sogno nel cassetto?
(risata) Tanto per sognare, facciamo alla grande: dirigere Falstaff alla Scala.
Theater Basel: Verdi, Don Carlos, 4, 7, 13, 15, 21, 22 maggio
Komische Oper Berlin, Offenbach, Die schöne Helena, 8, 25 maggio, 4 giugno
Théâtre des Champs Elysées, Paris: La folle soirée de l'Opéra - Radio Classique, 24 e 25 giugno.
References
1. | ↑ | NdR: Concours international de chefs d’orchestre d’opéra. Michele Spotti ha vinto la prima edizione nel 2017 |
2. | ↑ | Jean Benes, direttore artistico per l’opera a Basilea |
3. | ↑ | Benedikt von Peter, sovrintendente del Theater Basel |
4. | ↑ | Al Festival della Valle d’Itria 2020 a Martina Franca |
5. | ↑ | Sergio Martinotti, Bruckner, EDT, Torino 2003 |
6. | ↑ | Robert Simpson, The Essence of Bruckner, The Essence of Bruckner: An Essay Towards the Understanding of His Music, Gollancz, London 1967 nuova edizione 1992 |
7. | ↑ | Slavoj Žižek, Variazioni Wagner, Asterios, Trieste 2012 |
© Rosellina Garbo (Traviata)
© Christian Dresse (Guillaume Telle Marsiglia)
© Marco Borelli (Ritratti)`