Wanderer

Menu
  • Opera
  • Concerti
  • Danza
  • Prosa
  • Libri e CD/DVD
  • Varia

Ultimi posts

Macerata Opera Festival 2022 : un nuovo corso

Oro musicale e piombo scenico

Vorrei pianger, ma non posso… Storia di una Lucia di oggi

Opportunità da favola per una rifugiata

I Puritani sono tornati a Roma con elevata raffinatezza musicale

Wanderer
⋄
Opera
⋄
Un’edizione finalmente rivelatrice

Giovanna d'Arco di Giuseppe Verdi, Teatro dell'Opera di Roma 2020-2021

Un’edizione finalmente rivelatrice

Francesco Arturo Saponaro — 18 Novembre 2021

Giuseppe Verdi (1813-1901)
Giovanna d’Arco (1845)
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Temistocle Solera da “Die Jungfrau von Orléans” di Friedrich von Schiller
Prima assoluta il 15 febbraio 1845 al Teatro alla Scala di Milano

Daniele Gatti, direttore d’orchestra
Davide Livermore regia e coreografia
Giò Forma, scene
Anna Verde, costumi
Antonio Castro, luci
D-Wok, video

 

Carlo VII, Francesco Meli
Giovanna, Nino Machaidze
Giacomo, Roberto Frontali
Delil, Leonardo Trinciarelli
Talbot, Dmitry Belosselsky

Orchestra e coro del Teatro dell’Opera di Roma
Roberto Gabbiani, maestro del coro

Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera in Roma,
Elementi scenici del Palau de Les Arts “Reina Sofia”, Valencia.

 

Teatro dell'Opera di Roma
Teatro dell'Opera, Rome, Italia
Scheda del luogo
Roma, Teatro dell’Opera, venerdì 22 ottobre 2021, Ore 20

La direzione di Daniele Gatti, e il progetto scenico di Davide Livermore (stavolta non enfatico e ridondante) offrono una nuova lettura dell’opera verdiana. A lungo, Giovanna d’Arco è stata storicamente trascurata e dimenticata, perché considerata un’opera brutta. E invece, la straordinaria concertazione di Gatti, la misurata regia di Livermore, e un cast di interpreti eccellenti, ci hanno restituito una partitura di tutto rispetto.

Nino Machaidze (Giovanna), Francesco Meli (Carlo VII)

Scelta insolita, ma di grande interesse, e ben confezionata. Dopo quasi cinquant’anni (l’unico precedente, e ciò dice molto, risale al 1972), Giovanna d’Arco, lavoro giovanile di Giuseppe Verdi, è riapparsa sul palcoscenico del Teatro dell’Opera, in Roma. Merito di Daniele Gatti, direttore musicale dell’ente romano, ma soprattutto direttore e concertatore di quest’edizione, la cui pregevole riuscita si deve soprattutto a lui. L’opera verdiana è del 1845, nel pieno degli “anni di galera” del compositore, ed è stata prevalentemente considerata, dalla musicologia e dalla critica, il parto peggio riuscito nel catalogo verdiano, anche per via del libretto. L’allestimento del 1972, mietendo favori nel pubblico e giudizi contrastanti nella critica, non mutò le fortune esecutive di questa pagina, almeno sulle scene di Roma. Ma oggi l’impegno interpretativo di Daniele Gatti ci ha permesso di capire che Giovanna d’Arco è tutt’altro che un’opera brutta, e ha rivelato i pregi di una partitura semisconosciuta, ingiustamente bollata di bassa mediocrità. E non è superfluo ricordare che a questo titolo il direttore milanese è particolarmente affezionato, perché alcuni decenni fa è stato quello del suo debutto operistico, da esordiente poco più che ventenne.

Già dalla sinfonia, con l’impalpabile rullo di timpani che l’apre e il tremolo degli archi che segue, Gatti illumina i motivi fondanti : dai lampi di cromatismo che evocano suggestioni ultraterrene, come l’impatto fra sacro e demoniaco, alle inflessioni di sapore bucolico e agreste che ricordano la provenienza e anche l’ingenuità di Giovanna, fino agli echi militareschi ed eroici che appartengono all’altro profilo della Pulzella d’Orléans. E già dall’inizio, come poi per l’intera opera, l’Orchestra aderisce agl’intenti direttoriali con esiti di alta qualità. Analoga gran figura esibirà poi anche il Coro, istruito da Roberto Gabbiani, e molto presente nell’opera. Negli sviluppi successivi, la linea di Gatti percorre la partitura con spiccata attenzione nei confronti di una condotta creativa, quella verdiana, intenta a disegnare una drammaturgia che va al di là dei contrasti sentimentali e dei clangori patriottici, pur non trascurando i momenti di acceso impatto emotivo. Dalla bacchetta di Gatti, la musica di Verdi rivela un profilo che, in sintonia con l’assetto librettistico, si tiene alla larga da accensioni religiose di sapore confessionale. Infatti, seguendo il testo di Temistocle Solera, il compositore evita di ricalcare l’organizzazione tradizionale nelle successioni standard di arie e altre forme, ma, spinto dalla singolarità della figura di Giovanna, struttura le sue pagine in varie soluzioni. E l’accurata concertazione di Daniele Gatti illumina come si deve questi itinerari, ottenendo una temperatura espressiva che rende piena giustizia a una musica che finalmente è stata condotta ai livelli esecutivi che merita.

Nino Machaidze (Giovanna)

Quanto alla messa in scena, bisogna subito dire che, questa volta, il regista Davide Livermore ha ideato un progetto che si giustifica e funziona, a parte il movimento coreografico che ha voluto egli stesso disegnare ; riguardo al quale, sarebbe opportuno non dimenticare mai l’adagio “ognun faccia il suo mestiere”… Con la collaborazione dello studio Giò Forma per la scenografia, di Anna Verde per i costumi, di Antonio Castro per le luci, di D‑Wok per i video, Davide Livermore ha presentato uno spazio fatto di grandi ellissi concentriche e inclinate, un ambiente unico di tinte decisamente scure per l’intero spettacolo, nel quale si è articolata soprattutto la presenza dei molti mimi-danzatori, schiere di angeli o demoni che assecondano e disegnano le visioni e le allucinazioni di Giovanna d’Arco. Sulla parete di fondo, un’immensa lente circolare fa da schermo per la serie di proiezioni allusive, alle quali Livermore ci ha abituato. Alla regia va riconosciuta l’intelligente scelta di stare lontana da letture ideologiche, sia di stampo cattolico-reazionario sia di sapore trasgressivo in senso pseudofemminista o pseudopsichiatrico. Giustamente, il movimento della protagonista è ispirato al contrasto tra le dimensioni dell’anima e del corpo, impersonato dal mimo suo doppio, che percorre la scena ingenerando un senso di non risolto, ben correlato con l’impianto stesso del libretto e quindi dell’opera. Il che, collocandosi fuori dagli schemi, aiuta a spiegarsi lo storico non radicamento di quest’opera, che pure vanta diverse pagine davvero suggestive. Insomma Livermore, nella sua resa come sempre tecnologica e attualizzata, comunica efficacemente le intenzioni di Verdi e Solera, e il loro orientarsi su un indirizzo di sintesi narrativa che bypassa l’intrico della vicenda storica, focalizzando sentimenti e situazioni più degne del loro interesse.

Nino Machaidze (Giovanna), Francesco Meli (Carlo VII)

Molto ben assortita la compagnia di canto. Si è fatta senz’altro apprezzare, nel personaggio del titolo, il soprano georgiano Nino Machadze, una Giovanna di tecnica sicura e temperamento deciso, con voce che risulta sempre ben calibrata. La sua natura di soprano leggero, qui invece alle prese con una parte drammatica, l’ha egregiamente sorretta nei passaggi di coloratura, come nella cavatina del primo atto Sempre all’alba. Così come la limpidezza del timbro ha dato luce a passi più lirici, quali l’aria O fatidica foresta, o l’episodio conclusivo, di indubbio fascino. Magnifica la prova del tenore Francesco Meli nei panni di Carlo VII, ruolo da lui ricoperto più volte in questi anni, e da lui ben conosciuto in ogni sfaccettatura. Pasta vocale florida e rotonda, scioltezza di emissione, omogeneità di timbro permettono a Meli di realizzare ogni accento del suo personaggio, in momenti decisivi quali ad esempio la cavatina Sotto una quercia parvemi, o nei duetti con Giovanna.

Roberto Frontali (Giacomo) Nino Machaidze (Giovanna), Francesco Meli (Carlo VII)

Nei panni di Giacomo, padre di Giovanna, anche il baritono Roberto Frontali ha offerto un’ottima prova, mettendo a frutto la sua grande esperienza per rendere la complessità di un personaggio mosso da profonde contraddizioni. Sia nei momenti intimi, sia in quelli stentorei, Frontali trova il giusto accento espressivo e una convincente resa vocale. Sono da citare poi due figure di contorno, che hanno pochissimo spazio ma sono affidate a interpreti che si disimpegnano al meglio : Dmitry Beloselskiy, Talbot, e Leonardo Trinciarelli, Delil.

Roberto Frontali (Giacomo) Nino Machaidze (Giovanna), Francesco Meli (Carlo VII)

 

Crediti foto: © Fabrizio Sansoni

Quest'articolo è stato scritto da Francesco Arturo Saponaro

Anna VerdeAntonio CastroD-wokDaniele GattiDavide LivermoreDmitry BelosselskiyFrancesco MeliGIO FORMALeonardo TrinciarelliNino MachaidzeOrchestra e Coro del Teatro dell'Opera di RomaRoberto FrontaliRoberto Gabbiani

Lascia un commento Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Lingue

  • Français
  • English
  • Deutsch
  • Italiano

La Newsletter del Wanderer

Ad

Sul Blog del Wanderer (In francese)

  • IN MEMORIAM PHILIPPE LABRO (1936-2025)
  • LA SAISON 2025-2026 DE LA STAATSOPER DE HAMBOURG
  • SCALA : LE NOUVEAU DIRECTEUR MUSICAL N’EST PAS CELUI QU’ON ATTENDAIT
  • LA SAISON 2025-2026 DE L’OPERA NATIONAL DE PARIS
  • LA SAISON 2025-2026 DE LA BAYERISCHE STAATSOPER DE MUNICH
Facebook Twitter
Contatto
redaction@wanderersite.com
Twitter : @WandererSite
Facebook : Page du Wanderer

15, rue Général-Dufour
1204 Genève
Tel: +41 22 508 59 09
Crediti
© 2025 Copyright Wanderer
Admin
fr French
nl Dutchen Englishfr Frenchde Germanel Greekit Italianja Japanesepl Polishru Russianes Spanishsv Swedish