Giuseppe Verdi (1813-1901)
La Traviata (1853)
Libretto di Francesco Maria Piave da La Dame aux Camélias di Alexandre Dumas figlio.
Prima assoluta a Venezia, Teatro La Fenice, il 6 marzo 1853
Direzione musicale Paolo Bortolameolli
Regia Henning Brockhaus
Scene Josef Svoboda
Costumi Giancarlo Colis
Luci Henning Brockhaus e Fabrizio Gobbi
Coreografie Valentina Escobar
Violetta Valéry Claudia Pavone
Flora Bervoix Valeria Tornatore
Annina Estìbaliz Martyn
Alfredo Germont Marco Ciaponi
Giorgio Germont Sergio Vitale
Gastone Marco Puggioni
Il barone Douphol Francesco Auriemma
Il marchese D’Obigny Stefano Marchisio
Il dottor Grenvil Francesco Leone
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del coro Martino Faggiani
Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei”
allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio
Non ce n’è per nessun altro: dopo quasi trent’anni, innumerevoli riprese allo Sferisterio e recite ovunque nel mondo, questa Traviata è dominata, non solo iconicamente, dal grande specchio dello scenografo Josef Svoboda, una delle intuizioni sceniche più geniali della storia del teatro lirico. E puntualmente il pubblico applaude ripetutamente l’emozionante scenografia.
Henning Brockhaus rivede alcuni particolari nella regia e inserisce nel primo atto balletti su coreografie di Valentina Escobar, connotati da non particolare originalità ma che contribuiscono a dare movimento all’insieme e a catturare l’attenzione dello spettatore. Unica novità rilevante il trucco : cantanti, coristi e comparse hanno il volto bianco, come ricoperto di biacca, trasformati in una sorta di “Pierrot lunaire”, una scelta di cui non si è ben compresa la motivazione e che nulla aggiunge a una regia sostanzialmente didascalica e tradizionale, che anzi forse impone una certa “fissità bambolesca” contrastante con l’azione sempre vivace e brillante in scena.
Paolo Bortolameolli dirige con mano sicura l’esperta Orchestra Filarmonica Marchigiana e allarga i tempi in modo da favorire il canto e il raccordo tra palco e buca, non facile in uno spazio aperto e grande come lo Sferisterio.
Claudia Pavone è una Violetta di grande temperamento, dal portamento fiero e combattivo che però non manca di sottolineare i momenti di ripiegamento lirico e amoroso, sia nelle movenze sia vocalmente ; la voce è ben timbrata e risuona sicura : se il pubblico aspettava (invano) il tradizionale sovracuto nel finale del primo atto, di certo non è rimasto deluso dal complesso della prestazione ; da rilevare nel primo atto i preziosi indugi vocali in “Croce e delizia” che hanno conferito particolare incisività al canto introspettivo e, nel secondo atto, il poetico toccare le margherite dipinte sul pavimento in una sorta di sognante “m’ama non m’ama”.
Marco Ciaponi presta baldanza giovanile ad Alfredo Germont e di lui si è apprezzata la sintonia con il soprano. Il Papà Germont di Sergio Vitale non è il “solito” padre anziano che spesso si vede sui palcoscenici, bensì giustamente un distinto signore di mezza età dai toni più autoritari che autorevoli sia nei confronti del figlio sia nei confronti della di lui amante : ben cantate e giustamente applaudite le sue due arie.
Valeria Tornatore accentua efficacemente il carattere lascivo di Flora. Estìbaliz Martyn è una giusta Annina, entusiasta quando Violetta le comunica che andrà alla festa di Flora nel secondo atto (forse fin troppo, qualche gridolino si poteva risparmiare ma, evidentemente, ha seguito le indicazioni registiche), dolente, appoggiata alla testiera del letto, nel finale. Con loro, adeguati, Marco Puggioni (Gastone), Francesco Auriemma (Barone), Stefano Marchisio (Marchese) e Francesco Leone (Dottore). Buona la prestazione del Coro lirico marchigiano, ben preparato da Martino Faggiani, particolarmente a suo agio in partiture verdiane. Impeccabile la Banda Salvadei, impegnata come complesso di palcoscenico.
Molti e ripetuti applausi a scena aperta, soprattutto nel primo atto e nel finale ; teatro esaurito con la capienza limitata dalla normativa sanitaria in vigore.
Quest'articolo è stato scritto da Francesco Rapaccioni