Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Inaugurazione della stagione sinfonica 2020-2021
Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Antonio Pappano, direttore
Piero Monti, maestro del Coro
Anton Bruckner (1824-1896)
Te Deum in do maggiore per soli, coro e orchestra
Donika Mataj, soprano - Daniela Salvo, contralto
Anselmo Fabiani, tenore - Antonio Vincenzo Serra, basso
Gustav Mahler (1860-1911)
Das Lied von der Erde (Il canto della terra)
Gerhild Romberger, contralto
Clay Hilley, tenore
Santa Cecilia: concerto d’inaugurazione, concerto successivo, poi è arrivato lo stop. E così per ogni attività di spettacolo, in barba al generale rispetto delle precedenti norme anti-Covid, ovunque attentamente praticate dai teatri, con massiccia diminuzione dei posti in sala, e con notevole aggravio delle spese per provvedere alla sanificazione. Il decreto governativo del 24 ottobre, che ha nuovamente chiuso tutto innescando un probabile disastro, sta provocando un terremoto, un’ondata di proteste. Civile, ma fermissima, anche la lettera di aperto dissenso, indirizzata da Riccardo Muti a Giuseppe Conte, capo del governo. E bisognava sentirla, l’inconsistenza della replica via social di Dario Franceschini, ministro di cultura e spettacolo dell’attuale governicchio, alla vibrante sollevazione dell’intero mondo culturale! Quale sarebbe il motivo, addotto da Franceschini, per imporre la nuova clausura totale, anche a ristoranti e bar? Dissuadere il pubblico dall’uscire di casa dopo le 18, e quindi dissuaderlo dall’uso dei mezzi pubblici. A parte il fatto che il pubblico serale adopera mezzi proprî e non pubblici, perché invece i centri commerciali rimarranno sempre aperti anche nel week end? E i supermercati, dove ci si affolla e non si fa più la fila all’esterno? E le messe domenicali, perché non inibirle?
Il concerto di apertura della stagione sinfonica ’20-‘21 è stato però all’altezza delle tradizioni. Antonio Pappano sul podio e, in locandina, il raro quanto curioso abbinamento del Te Deum di Anton Bruckner (1824–1896), e del Lied von der Erde (Il canto della terra) di Gustav Mahler (1860–1911). Due figure, Bruckner e Mahler, in parte coeve, e dalle personalità molto diverse, per quanto certi clichés superficiali li accostino per il loro gigantismo creativo, e per la loro sensibilità ad alcuni aspetti del linguaggio wagneriano. In realtà, Bruckner è un cattolico austriaco tutto d’un pezzo nella sua fede religiosa, mentre Mahler è un raffinato intellettuale mitteleuropeo, intriso di dilemmi esistenziali e di scetticismo, teso a esprimere la precarietà e caducità del vivere.
Il Te Deum, inno paleocristiano di lode e ringraziamento alla divinità, nasce alla fine del secolo IV. Il suo testo ha poi ispirato, nella storia della musica, molti compositori, spesso sollecitati da importanti occasioni celebrative, quali intronazioni di sovrani o festeggiamenti per vittorie militari. Il suo Te Deum, Bruckner lo termina nel 1881, rivedendolo poi nel 1884. Gli conferisce un profilo imponente, monolitico, sottolineato dalla strumentazione nutrita con cospicua sezione di ottoni più organo, e dalla presenza del coro più quattro solisti di canto. La religiosità che ispira questa pagina emerge dalla riduzione al nòcciolo dell’apparato compositivo ed espressivo : moduli ritmici ripetuti e riaffermati, polifonia omogenea e densa anziché articolata e complessa, omissione di preludi e interludi orchestrali. Quindi, sì a un’atmosfera di solennità e maestà, ma preminenza alla dimensione sacrale del testo, e spazio anche a momenti di trepidazione e smarrimento.
Proprio su tali passaggi raccolti, piuttosto che su quelli grandiosi e trionfali, Pappano ha focalizzato lo sguardo, illuminandone i palpiti con una sensibilità protesa al di là della dimensione sacra, fideistica, del pezzo. È così affiorata un’interessante lettura in chiaroscuro, che si è avvantaggiata anche di una certa particolare tenuità e luminosità sonora, favorita dalla collocazione distanziata (in omaggio alle regole anti-Covid) sia dell’orchestra sia del coro, sparso nella soprastante galleria. Orchestra e coro, quest’ultimo istruito da Piero Monti, entrambi impeccabili, così come i quattro solisti, attinti proprio dalla compagine corale : Donika Mataj soprano, Daniela Salvo contralto, Anselmo Fabiani tenore, Antonio Vincenzo Serra basso. La bacchetta di Pappano, più che alla compattezza trionfale, guarda al caleidoscopio di eloquenti sfumature e risorse del vocabolario di Bruckner, in una visione interpretativa che illumina il molteplice anziché la rigida coesione.
Lo stesso universalismo, lo stesso transito attraverso paesaggi poliedrici, discontinui, smerlati, segna anche la lettura del mahleriano Canto della terra. Dal gesto del direttore britannico emergono non soltanto il senso di sfibramento, di desolazione che segna questa pagina, ma anche altre e più calde suggestioni, che coniugano attentamente la malinconia di fondo alla ricerca della bellezza che emerge dal raffinato pannello di colori. Ed è così che, nella lettura di Pappano, il disincanto può alternarsi al sogno, la gaiezza all’angoscia, procurando un rilievo molto particolare al percorso drammaturgico. Dei due interpreti vocali, il bel colore di Clay Hilley, tenore, rende meglio e convince più del contralto Gerhild Romberger, dal velluto denso ma non seducente.
Quest'articolo è stato scritto da Francesco Arturo Saponaro