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Indimenticabile Seconda di Mahler firmata Chung alla Fenice

Concerto di Orchestra e Coro del Teatro La Fenice diretta da Myung-Whun Chung, Gran Teatro La Fenice – Venezia, 2018-2019

Indimenticabile Seconda di Mahler firmata Chung alla Fenice

Mauro Masiero — 11 Marzo 2019

Programma

Gustav Mahler (1860-1911)

Sinfonia n. 2 in do minore Resurrezione
per soprano, contralto, coro misto e orchestra
Zuzana Markovà ⎮ soprano
Sara Mingardo ⎮contralto
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore ⎮ Myung-Whun Chung
Maestro del Coro ⎮ Claudio Marino Moretti
Gran Teatro La Fenice - Venezia
Teatro la Fenice Campo San Fantin, Venezia
Scheda del luogo
Venezia, Teatro La Fenice,

Va in scena al Teatro La Fenice una indimenticabile interpretazione della seconda sinfonia di Gustav Mahler firmata da Myung-whun Chung, che riconferma il felice sodalizio con l’orchestra e il coro del teatro veneziano. La sua direzione sa essere impeccabile e intensa, sincera e ispirata nell’intenzione e al contempo dettagliata, scrupolosa, massimamente rispettosa del testo mahleriano. Un concerto emozionante.

 

 

 

Risurrezione ; meglio : Auferstehung. Nel lemma tedesco manca quell’idea di ri-, di qualche cosa che accade di nuovo o in maniera rinnovata. È una parola tutta ascensionale, dinamica : auf indica qualche cosa che va o che si trova “su”, ma anche qualche cosa che sta per avvenire ; stehen è un verbo basilare per esprimere lo stare all’impiedi, er-stehen si carica di un’ulteriore connotazione di movimento : sorgere, innalzare, levare. Ecco che il mistero della Seconda assume già contorni diversi, non immediatamente influenzati dal fuorviante rimando alla risurrezione di Cristo. Dice bene Quirino Principe quando scrive che quello di resurrezione è un concetto affatto alieno al milieu culturale dell’ebreo boemo Gustav Mahler, ma che si tratta di qualche cosa di ben più ampio. La musica ci viene in soccorso, con il suo erigere un abnorme e difforme edificio in cinque piani, di cui il primo si sviluppa quasi interamente nel sottosuolo, con rari ambienti che ricevono una luce avara da chissà quale sorgente ; il secondo – al piano terreno – ha l’aspetto di un interno perfettamente borghese con poltrone e tendine, ma vi sono stanze serrate da porte inespugnabili, dalla cui serratura si sbircia qualcosa d’inquietante. Al terzo piano vivono inquilini scapigliati, che quando non sono per strada danno festini in casa al ritmo di kletzmer invitando personaggi loschi e interessanti, senza tuttavia turbare chi sta al quarto, che vive nella luce e nel chiarore, e non si cura di quel che accade di sotto, forte com'è della sua speranza. Il quinto, infine, non è un vero e proprio piano, quanto più un gigantesco ambiente scoperchiato verso il cielo, curiosamente speculare al primo interrato, a questo quasi uguale e diametralmente contrario.

 

Uscendo da questa metafora instabile e parziale, quel che è successo al Teatro La Fenice a opera dell’orchestra del teatro e da Myung-whun Chung è stato sconvolgente. Il maestro coreano ha realizzato uno dei concerti più intensi e sinceramente belli che si siano visti sul palcoscenico veneziano da anni. Supera sé stesso nella resa fedele alla minima inflessione della partitura, senza mai essere pedante, sapendo anzi venire a capo alle lungaggini e agli accumuli di cui la Seconda soffre, in cui l’urgenza espressiva del trentacinquenne Mahler lo porta a voler mettere giù tutto, non sempre completamente padrone di una creatura che gli si enfia sotto le dita. Chung ne è perfettamente consapevole e fa quello che farebbe ogni musicista di valore : realizza ciò che Mahler ci consegna in una partitura impervia e teatralmente zeppa di indicazioni e se ne serve per edificare dal grande progetto una costruzione maestosa, di fronte a cui rimanere in pressoché continua tensione.

 

L’orchestra gli risponde alla perfezione : gli archi sanno ruggire e bisbigliare, l’esercito di ottoni sa marciare in bell’ordine e all’occorrenza cantare in coro con un amalgama impeccabile. Nella creatura elefantiaca Chung non rinuncia ai dettagli e sviscera la partitura per farla ascoltare nella sua sfavillante meraviglia, così ricca di dettagli che risultano quasi inaspettati in questo mare magnum : come appropinquandosi a un grande affresco soffittale si scoprono i dettagli minuti che da terra non si vedono ma che l’artista ha voluto inserire, così nei novanta minuti di questa Seconda Chung ci diverte e ci commuove mettendo in rilievo le raffinatezze di cui abbonda la partitura. Riesce a tenere insieme tutto : in orizzontale, dando una consequenzialità anche ai momenti di affastellamento, in verticale, guidando con la consueta precisione il colossale ensemble strumentale.

 

Sara Mingardo regala uno dei momenti più alti in questo grande concerto : la sua Urlicht è talmente giusta da mettere in imbarazzo anche l’oratore più loquace : che dire…? La sua voce di ottone e velluto fluisce con una naturalezza totale e si impasta alla perfezione con corni e trombe, con cui i dialoghi sono riuscitissimi. Dizione facile e spontanea, non incespica negli spigoli del Lied, anzi ne trae una musica magnifica, fluttuando sull’orchestra senza prevaricare né farsi soverchiare.

 

Il tempo finale sconquassa per enormità sonora e magnificenza d’intenzione. La violenza con cui l’idillio di Urlicht viene infranto è perfettamente coerente con l’intento del compositore di scompaginare l’eterea filigrana, di sparigliare le carte e di iniziare la definitiva scalata verso su, verso l’alto. I momenti di bellezza abbacinante si susseguono di continuo : corali in cui gli ottoni sono un unico organo suonato con perizia e ispirazione ; momenti di dormiveglia in cui non si capisce che cosa sia reale e che cosa sia onirico di quel che accade : è reale la morbida orchestra da ballo sul palcoscenico o la bandina militare dietro le quinte ? In partitura Mahler le sovrappone, e Chung ce lo fa ascoltare. Straordinario il coro, anch’esso capace di sussurri da brividi e fortissimi di grande smalto ed eleganza ; insidiosissimo il suono “-st” dell’iniziale “auferstehen”, ma si riesce a passarvi attraverso in modo indolore. Del tutto riuscito anche l’insieme con il soprano Zuzana Marková, voce sonora e perfettamente inserita nell’insieme.

 

Non c’è registrazione che possa rendere giustizia alla Seconda di Mahler : la spazialità del suono è parte integrante della musica e la regia orchestrale – accurata nei dettagli dallo stesso compositore – concorre alla riuscita dell’esecuzione. Non tener conto di questo significa travisare la partitura e purtroppo l’ascolto discografico appiattisce inevitabilmente questo aspetto. Chung non osa particolarmente nella dislocazione degli strumenti, ma crea ad arte le sonorità richieste dalle puntigliose didascalie mahleriane, cui dà vita con scrupolo analitico, completamente a memoria.

 

 

Quest'articolo è stato scritto da Mauro Masiero

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