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Il felice ritorno a Roma dei masnadieri

I masnadieri di Giuseppe Verdi, Teatro dell'Opera di Roma 2017-2018

Il felice ritorno a Roma dei masnadieri

Francesco Arturo Saponaro — 4 Febbraio 2018

I masnadieri
Musica di Giuseppe Verdi

Melodramma tragico in quattro atti
Libretto di Andrea Maffei
da Die Räuber  di Friedrich Schiller

Prima rappresentazione
Londra, Her Majesty’s Theatre, 22 luglio 1847

DIRETTORE: Roberto Abbado
REGIA: Massimo Popolizio

Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Scene Sergio Tramonti
Costumi Silvia Aymonino
Luci Roberto Venturi
Video Luca Brinchi e Daniele Spanò

Principali interpreti

Massimiliano Riccardo Zanellato
Carlo Stefano Secco 
Francesco Artur Ruciński 
Amalia Roberta Mantegna** 
Arminio Saverio Fiore
Moser Dario Russo
Rolla Pietro Picone

**diplomata “Fabbrica” Young Artist Program

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento

Teatro dell'Opera di Roma
Teatro dell'Opera, Rome, Italia
Scheda del luogo
Teatro dell'Opera di Roma

Due i motivi di richiamo de I masnadieri andati in scena al Teatro dell’Opera, in Roma. Il ritorno di un titolo che mancava dal novembre 1972, e il debutto dell’attore Massimo Popolizio nella regia lirica. Quarantacinque anni fa, fu Gianandrea Gavazzeni a dirigere questo lavoro che, si stenta a crederlo, fin’allora non era mai apparso sul palcoscenico romano. Sicché, in questo teatro, la presente edizione risulta essere il secondo allestimento di un’opera che vide la luce nel 1847… Superando i naturali timori di chi non si era mai misurato con il teatro musicale, Popolizio ha accolto l’invito dell’Opera, offrendo con la sua messa in scena una prova complessivamente positiva.

 

Ha trentadue anni, Giuseppe Verdi, quando nel 1845 riceve dal Her Majesty’s Theatre di Londra la richiesta di comporre un’opera, sua prima commissione da un grande teatro estero. Per quanto giovane, il compositore in quegli anni lavora con impegno febbrile, e consolida una fama che cresce nei successi di Nabucco, I lombardi alla prima crociata, Ernani. Ricevendo l’incarico dall’impresa londinese, Verdi si rivolge per il libretto al conte milanese Andrea Maffei, che esprime in quest’impegno la sua stoffa di intellettuale raffinato, e di esperto traduttore del teatro tedesco e britannico. Maffei propone al musicista il dramma di Schiller, appunto I masnadieri, che è un testo di grande energia, con accese tinte di ribellismo, in pieno stile Sturm und Drang. Nell’insieme, il libretto funziona, anche se trasuda di qualche manierismo e impaccio nei quali affiora il gusto del cólto aristocratico.

 

La musica del giovane Verdi trova forti accenti suoi proprî, anche se comprensibilmente rivela influssi dei maggiori astri dell’epoca, ad esempio nella fattura di molte arie che, alla maniera donizettiana, presentano una prima parte in tonalità maggiore, e la seconda in minore. E qualche limite, qualche indice di una non ancora raggiunta maturità nell’elaborazione musicale c’è, come ad esempio nel monologo di Carlo, coi suoi propositi suicidi, monologo che viene risolto sbrigativamente, omettendo possibili e interessanti sviluppi che invece, in situazioni analoghe, coglierà il Verdi maturo. Interessanti novità sono le grandi pagine per coro, che sono molto articolate, e raccontano una vicenda, come la distruzione di Praga, rivelando in quest’aspetto una visione teatrale innovativa. Ben riuscito il tratteggio dei personaggi, a cominciare dal padre, Massimiliano, al quale spetta una grande aria nel terzo atto, con notevole varietà di soluzioni, nella tipica maestosità dei bassi verdiani. Romantica e inquieta la figura del figlio Carlo,  da un lato nutrito di focosi ideali,  dall’altro venato di rimpianti. Nel suo ruolo di cattivo, l’altro figlio Francesco presenta una colorita tavolozza di accenti e sfumature. La protagonista femminile, Amalia, è anch’ella interessante perché in fondo non è così innocente, come si coglie già dalla prima cavatina, leggera nella veste musicale, ma molto passionale nel testo.

Roberta Mantegna (Amalia) e Stefano Secco (Carlo)

La regia di Popolizio sottolinea fortemente lo scontro di forti tensioni e tumulti inappagati, cogliendone lo spirito protoromantico, e retrodatandola a un Medioevo di netti contrasti rispetto alla cornice settecentesca di Schiller. Colore dominante è il grigio, senza sfumature, in una scenografia cruda, firmata da Sergio Tramonti su costumi di Silvia Aymonino, che usa la dimensione spaziale omettendo arredi e orpelli, e imponendo un impiego di ponti a più livelli, che sottolineano la forza della musica. E qui si riconosce la lezione delle regie ronconiane, per le quali spazio e scena sono motori importanti dell’inquietudine drammaturgica. Un po’ perplessi lascia, tuttavia, la frequente collocazione di Carlo su una sorta di tribuna che fa avanti e indietro dalla quinta. Un arzigogolo che vorrebbe sottolineare la separatezza di Carlo, ma che finisce inevitabilmente per ricordare la balaustra del Titanic, dalla quale si protendevano Leonardo DiCaprio e Kate Winslet…

 

Sontuosa la concertazione di Roberto Abbado, che ha sottolineato le tinte forti della musica verdiana, ma allo stesso tempo ha messo in luce la ricca gamma di sfumature offerte dalla pur giovanile partitura. E già dal preludio, con l’importante solo di violoncello, il direttore milanese governa dinamiche e colori con spiccata penetrazione espressiva, articolando con proprietà l’ingranaggio  incalzante, che alterna momenti concitati o lirici. Grande attenzione, nel direttore milanese, alle risorse di orchestra e coro, istruito da Roberto Gabbiani, con egregi risultati negli equilibri tra buca e scena, che hanno molto giovato alla riuscita dell’esecuzione e alla stessa resa delle voci soliste.

Massimiliano (Riccardo Zanellato)

Voci che hanno pienamente convinto nei personaggi di Massimiliano, con il basso Riccardo Zanellato, di Francesco, con il magnifico Artur Ruciński, baritono straordinario nel delirio della grande aria del quarto atto, di Amalia, affidata al giovane soprano Roberta Mantegna, lusinghiero prodotto del Progetto Fabbrica, promosso dallo stesso Teatro dell’Opera per coltivare nuove voci. Non altrettanto persuasivo, nel ruolo di Carlo, il tenore Stefano Secco, che ha mostrato di non possedere adeguato rilievo timbrico, oltre a un’emissione non sempre ferma. Meritano la citazione i bravi comprimari : Saverio Fiore, Arminio, Dario Russo, Moser, Pietro Picone, Rolla. Caloroso, unanime successo finale.

 

Crediti foto: © Yasuko Kageyama/Teatro dell'Opera di Roma

Quest'articolo è stato scritto da Francesco Arturo Saponaro

Artur RucinskiDaniele SpanòDario RussoLuca BrinchiMassimo PopolizioPietro PiconeRiccardo ZanellatoRoberta MantegnaRoberto AbbadoRoberto GabbianiRoberto VenturiSaverio FioreSergio TramontiSilvia AymoninoStefano Secco

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